Capitolo XXXIV

32 5 0
                                    


Il Dubai International  Airport era affollatissimo a quell'ora del mattino, tanti uomini d'affari si affrettavano lungo il terminal coi loro vestiti eleganti e le ventiquattrore di pelle, ma anche intere famiglie cariche di valigie che si spostavano per lavoro, non mancavano. C'erano poi, gli immancabili turisti. Negli ultimi anni infatti, grazie agli enormi progressi del paese e al gran numero di attrazioni, Dubai era diventata una delle mete più gettonate da quelli che volevano trascorrere delle vacanze dal sapore esotico.  

Juan al contrario era lì per lavoro, la sede principale della sua società si trovava proprio a Dubai. Dopo quanto accaduto alla sua famiglia, l'uomo aveva voluto allontanarsi il più possibile da un posto che gli risvegliava ricordi tanto dolorosi. Ma anche così, malgrado fossero ormai trascorsi quasi vent'anni da quella maledetta sera, lui non dimenticava, non poteva. Anzi, se possibile la sua sofferenza non faceva che acuirsi ogni giorno che passava. Sapere che le responsabili della sua tragedia erano da qualche parte a vivere le loro vite, mentre la moglie e il figlio non c'erano più, era un tormento continuo che non riusciva più a sopportare. 

Dovevano morire, forse solo così sarebbe riuscito a trovare un poco di pace... forse. Juan non ci credeva troppo, ma era ciò che si sentiva ripetere continuamente e a quel punto lui sperava che avessero ragione. Che a cose finite, quelle immagini smettessero di tormentarlo una volta per tutte. 

Al check-in stavano chiamando il suo volo, Juan si affrettò a mettersi in fila, quando giunse all'imbarco consegnò il biglietto e passaporto e venne fatto subito passare. Ovviamente lui viaggiava in business class. Non sopportava di farlo seduto in sediolini stretti, dove non potevi neppure girarti senza urtare qualcuno, soprattutto per oltre dodici ore di fila. Senza contare poi che gli estranei lo innervosivano. 

Una hostess gli indicò il suo posto e dopo aver sistemato il bagaglio a mano nell'apposito vano, Juan si lasciò cadere sulla poltrona, allacciò la cintura di sicurezza e chiuse gli occhi. Era letteralmente esausto, aveva dovuto sbrigare un mucchio di lavoro prima di tornare a casa e buttare un pò di cose alla rinfusa nella valigia. Poi una volta finito, non era riuscito neppure a chiudere occhio. Non dopo quanto gli aveva riferito Silas. Lo preoccupava che quelle streghe fossero così potenti. Finora non era mai capitato. Erano stati sempre i compagni a difenderle. Quelle maledette avevano la magia dalla loro, ma fino ad ora non erano mai riuscite a tenere testa ai suoi simili dopo la trasformazione. Dovevano concludere quella caccia al più presto, o sarebbero stati loro ad estinguere, e senza che quelle dannate pagassero per il male che avevano fatto pensò, imponendosi di riposare. Intendeva unirsi alla caccia, per farlo però avrebbe dovuto essere riposato e lucido. 

Verso le sette e mezzo si riunirono tutti in una lunga stanza con un tavolo enorme e un numero imprecisato di sedie. Jolanda prese Oscar da parte, sembrava ansiosa di dirgli qualcosa. Lui si lasciò trascinare in fondo alla stanza, così che nessuno sentisse cosa si dicevano.

_E tutto a posto?_ domandò lei, fissandolo seria.

_Sì, perché?_ replicò l'altro,  fingendo di non capire a cosa si dovesse quella domanda.

_Non lo so... è che ti trovo strano. Senti se è per quanto è successo ieri... te l'ho detto, poteva capitare a chiunque._

_Ma è capitato a me, e per poco non ci rimanevi secca!_ obbiettò. Il suo viso era l'espressione stessa della colpa. 

_Devi smetterla, ok?_ 

Jolanda credeva che lui soffrisse per non aver saputo proteggerla, non immaginava che Oscar stesse così male soprattutto perché nel giro di qualche ora le loro strade si sarebbero separate, probabilmente per sempre. Meglio che non sospettasse nulla. 

A costo della vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora