AGAIN _ 1.2

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Non riesco a dormire.

Per un tempo che mi è parso infinito mi sono girata e rigirata nel letto, sperando di prendere sonno. Il fatto è che una parte di me si sente in colpa per come ho trattato papà a cena. E l'altra è arrabbiata con questo senso di colpa. Oltretutto il mio cellulare non ha squillato nemmeno una volta da quando sono partita. Segno che non c'è nessuno che sentirà la mia mancanza, né nessuno che aspettava il mio ritorno. Ammetto di non aver stretto grandi amicizie nella vecchia scuola. Per la maggior parte del tempo mi sono concentrata sullo studio. Distinguermi per i meriti scolastici era sicuramente meglio che essere notata per altre cose, com'è successo in passato. Però avevo una specie di compagnia. Ci trovavamo per i compiti, uscivamo insieme nelle calde sere d'estate, sedevamo allo stesso tavolo in mensa e avrei anche avuto il mio primo appuntamento ufficiale con un ragazzo, se non fossi finita qui e tante grazie.

Guardo fuori dalla finestra. La luna è talmente luminosa che posso distinguere alla perfezione ogni particolare della mia stanza: in fondo non è poi così male. Stiracchio le gambe e sbuffo al pensiero di ciò che mi aspetterà nei prossimi sei mesi. E lunedì sarà una giornata molto, molto dura. 

Decido di scendere in cucina a prendere qualcosa da bere. La casa è immersa nel silenzio, quindi tento di fare meno rumore possibile, nonostante le scale di legno cigolino un po'. Mi verso un bicchiere di latte freddo e mi appoggio al bancone per sorseggiarlo. È solo in questo istante che vedo i libri ordinatamente impilati sul tavolino del salotto. Papà mi aveva detto che erano lì, ma me ne ero dimenticata. Entro e mi siedo sul divano, accendendo la piccola lampada alle mie spalle. Hanno ancora il cellophan. Sembrerà assurdo, però ho sempre adorato i libri di scuola. Di solito ho l'abitudine di leggerli tutti prima dell'inizio delle lezioni. Afferro il primo e lo libero dall'involucro, l'odore di carta fresca di stampa mi fa sorridere. Ne sfoglio rapidamente le pagine, le tocco, le sfioro. È una sensazione magnifica. Già che ci sono li scarto tutti e creo un'altra pila. Poi li suddivido per materia e infine ogni materia dal libro più spesso al più sottile. Alla fine ci sono tanti piccoli mucchietti. Sto per cominciare da biologia, quando sollevando lo sguardo noto le foto appese sulla parete di fronte a me. Ce ne sono decine che incorniciano il camino. Mi alzo e mi avvicino per vedere meglio. Sono tutti scatti di noi tre. In alcuni ci sono solo io, in altri anche mamma e papà. Perché? Che senso ha esporre dei ricordi che servono soltanto a sottolineare quello che non hai più? Per un momento mi sorge il dubbio che non lo abbia fatto per me. Magari nei suoi lavoretti di ristrutturazione era prevista la parete dei ricordi Strappalacrime. Ma alcune di queste foto sono troppo impolverate per essere lì da poco. Sono sempre state qui. Non le ha mai tolte. C'è addirittura la foto del loro matrimonio. Mamma è bellissima nel suo abito color cipria e papà è gonfio di orgoglio. Ci sono anche io, troppo piccola perché i ricordi affiorino nella mia mente, con un vestito identico a quello di mamma, però bianco.

Improvvisamente mi manca l'aria. Decido di uscire e vado a sedermi sulle scale del portico. Il caldo si è affievolito, un brezza leggera e tiepida rende il clima piacevole. Mi rivedo bambina: mamma che pota i fiori che una volta decoravano il vialetto, papà che taglia il prato e io che corro e rido felice. Ripenso alle mattine d'inverno, quando uscivamo a fare il pupazzo di neve e io gli mettevo sempre la sciarpa di papà e il berretto di mamma, e alle feste di compleanno con i palloncini rosa appesi ovunque, perché era il mio colore preferito. Poi pian pian si è rotto tutto.

Scoppio a piangere. Le lacrime mi rigano le guance e colano fino alle labbra. Tiro su con il naso.

«Meglio fuori che dentro.»

La voce alle mie spalle mi fa sussultare. Papà si avvicina.

«Non è niente» singhiozzo.

«Non devi giustificarti.»

«È solo uno sfogo. Sta già passando.»

«Hai tutto il tempo che ti serve.»

Mi concentro sul respiro e cerco di rilassarmi. «Mi dispiace averti svegliato» mormoro.

«Per la verità è una notte strana. Non ho fatto altro che addormentarmi e svegliarmi a ripetizione» risponde lui. «Prima mi sono alzato, ho sbirciato nella tua camera per vedere se ti fossi calmata e non c'eri.»

«Non riuscivo a dormire.»

«Immagino.»

«Ho trovato i libri in salotto. Mi sono messa a guardarli e poi ho visto le foto. Non so perché ma sono state quelle a farmi scoppiare.»

«Io le trovo bellissime.»

«Perché tenerle ancora?»

«Perché fanno parte della mia vita, Rachel.»

«Sono lì per ricordarti i tuoi fallimenti?»

«Tu non sei un fallimento. Sei una bellissima ragazza, un po' difficile, ma tua madre ti ha cresciuta bene. Il vero fallimento sono io che ho lasciato passare il tempo. Quelle foto mi servono per ricordarmi che anche io ho fatto qualcosa di buono nella vita.»

«Se un domani ti trovassi una compagna? Non credo ne sarebbe felice.»

«Quando succederà, magari farò un po' di spazio» dice lui alzando le spalle.

«Mi sento un'idiota»

«Capita a tutti, ogni tanto»

«E c'è rimedio?»

«Sì, non piangersi addosso.»

«Come hai fatto tu?»

«Come ho fatto io.»

Rientra in casa e socchiude la porta. Mi domando se non l'abbia offeso di nuovo. Evidentemente non riesco mai a trovare le parole giuste.

Poco dopo ricompare. Ha due tazze in mano e me ne porge una.

«Decaffeinato. Nell'attesa che ci arrivi sonno» dice.

Si siede sui gradini accanto a me e rimane a fissare un punto davanti a sé senza aggiungere altro. Restiamo così fin quasi all'alba.

AGAIN (1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora