Raggiungo di corsa lo spogliatoio della palestra. Entro e trovo Isabelle alla disperata ricerca del suo cellulare. È in ginocchio che controlla sotto le panchine, caso mai le sia caduto dalla borsa. I suoi pantaloncini sono talmente microscopici che mi domando come le permettano di usarli a scuola. Però noto con piacere che non è immune dalla cellulite. Quindi neanche lei è perfetta.
«Cerchi qualcosa?» le chiedo.
Lei volta la testa di scatto e mi fulmina con lo sguardo. «Che diavolo ci fai qui?» sibila.
«La domanda mi sembrava elementare. Vuoi che te la ripeta con i sottotitoli?» Sono gasatissima dalla seduta con la psicologa e ho bisogno di sfogarmi con qualcuno; chi meglio di lei?
«Non trovo il mio cellulare» risponde, alzandosi.
«Ohh, immagino che per una vip come te sia una tragedia. Insomma, come faranno i tuoi milioni di followers a non vedere le tue tette su Instagram oggi?» la prendo in giro.
«Io non metto le mie tette su Instagram!» replica lei indignata.
«Significa che hai ancora un briciolo di cervello, sono commossa.»
Cala un lungo istante di silenzio. Ovviamente non è abituata a sentirsi parlare in questo modo, ma adesso ci siamo soltanto io e lei. «Anderson, capisco che tu sia in cerca di attenzioni e se non avessi altro da fare nella vita che occuparmi dei casi disperati come il tuo, ti dedicherei un briciolo del mio tempo. Ma, davvero, non ho alcun interesse a discutere con te, devo trovare il mio telefono.» Mi volta le spalle.
«Assomiglia, per caso, a questo?» le chiedo, estraendo lo smartphone con la cover rosa glitterata.
La sua faccia diventa una maschera di rabbia. «E tu come...?» comincia. «Mi hai rubato il cellulare? Come ti sei permessa?» strilla. «Potrei denunciarti, lo sai vero?»
«Non credo proprio che lo farai» ribatto calma. «Non hai nessuna prova che sia stata io. Che ne sai che non lo abbia trovato per terra?» Mi scappa un sorriso. È uno spasso vederla in questo stato. Per la prima volta si sono invertiti i ruoli. «Ah, scusa, mi sono permessa di controllare. Sai, prima di restituirtelo dovevo assicurarmi che fosse proprio tuo.» Sul display troneggia un suo selfie.
«Come hai fatto ad avere la password?» domanda gonfiandosi come un gatto pronto ad attaccare.
«Sei così prevedibile. È la data di nascita di Connor. Non posso crederci che sei così banale!»
«E io non avrei mai creduto che tu potessi tradire la tua migliore amica.» Il suo tono è perfido, ma non ho intenzione di cedere.
«Lo sai benissimo com'è andata» le faccio presente.
«Ovvio che lo so. Vi hanno visti tutti. Quando la tua migliore amica bacia il ragazzo che ti piace non c'è tradimento peggiore.»
Una parte di me è punta sul vivo a sentirle rivangare la nostra amicizia. «Non ho baciato Connor» dico.
«Eppure erano tue le labbra appiccicate alla sua bocca.»
«È stato lui! È successo tutto all'improvviso.»
«Lui ha detto che gli sei quasi saltata addosso.»
«Lui può dire quello che vuole, ma perché nessuno crede alle mie parole?»
«Perché lui è Connor Brown.»
«Ero la tua migliore amica.»
«Eri una perdente. E infatti te ne sei andata. E nessuno ha più pensato a te.»
È incredibile come quella storia le bruci ancora. In ogni caso sono qui per Sanne, non devo perdere di vista l'obbiettivo.
«Sai, credo proprio che riporterò questo cellulare ai tuoi genitori, anziché restituirtelo.»
«Perché?»
«Magari vogliono darci un'occhiata: guardare un po' di foto, ce ne sono alcune molto carine della festa della scorsa settimana. Oppure leggere qualche conversazione. Chissà se tuo padre ti aumenterebbe la paghetta una volta messo al corrente.»
«Che cosa vuoi, Anderson?» mi chiede livida.
«Voglio Sanne nel gruppo studentesco.»
Mi fissa per un istante, poi scoppia a ridere. «Per quale motivo? Perché ti importa così tanto di lei?»
«Perché è l'unica persona che mi abbia dimostrato amicizia da quando sono arrivata qui.»
«Molto commovente» commenta sarcastica. «Quella ragazza è fuori di testa, non dovresti vantarti di esserle amica.»
«Non hai intenzione di fare quello che ti ho detto?» la incalzo rimettendo il cellulare nella mia borsa.
«Ok, ok!» esclama subito. «Va bene, quella psicopatica potrà entrare a far parte del gruppo studentesco» cede.
Sorrido.
«Ora ridammi il cellulare.»
Estraggo il mio e scorro la rubrica, trovo il numero e lo digito sul cellulare di Isabelle. «Questo è il numero di Sanne, chiamala subito» le ordino premendo il vivavoce.
Mi lancia un'occhiata al veleno, ma obbedisce.
«Pronto?» Sanne risponde al terzo squillo.
«Sanne! Tesoro. Ciao!» trilla Isabelle con la voce più falsa che le riesce. «Sono Isabelle.»
Un istante di silenzio.
«Isabelle chi?» chiede Sanne.
Trattengo una risata davanti all'espressione di Isabelle. «Isabelle Howard, cara. Lo sai benissimo chi sono» risponde.
Un altro istante di silenzio.
«E che cosa vuoi?» Sanne sembra prudente.
Lo sarei anche io, se ricevessi una telefonata inattesa da Satana.
«Solo dirti che stamattina io e le mie amiche abbiamo un po' esagerato. Insomma, hai ragione tu, il gruppo studentesco è aperto a chiunque quindi perché tu non dovresti partecipare? Le simpatie e le antipatie non c'entrano in questo caso. Perciò, ecco, accetto la tua candidatura e, come presidente, ti comunico che sei dentro.»
Isabelle si porta un dito in bocca, imitando un conato di vomito. Sanne usa parole incomprensibili per ringraziarla. È felicissima. Quando riattacca, come promesso, le restituisco il cellulare. Per un attimo penso che forse, sotto sotto, ma molto sotto, ci sia un filo di umanità in Isabelle. Insomma perché non possiamo andare d'accordo? La nostra è una guerra vecchissima, ormai. Sto quasi per dirglielo quando lei mi precede.
«Non montarti la testa, Anderson. Non puoi sconfiggermi.»
Mentre esce dallo spogliatoio mi dico che è solo un caso disperato.
STAI LEGGENDO
AGAIN (1)
Teen Fiction!!QUESTO LIBRO è GIà DISPONIBILE NELLE LIBRERIE E SU AMAZON IN CARTACEO E DIGITALE!! Quando la madre si trasferisce in Cina per lavoro, Rachel, diciassette anni, è costretta a tornare a vivere nel paese della sua infanzia con il padre, che non vede...