Il weekend successivo, quando apro gli occhi, mi sento confusa.
Ho fatto un sogno strano: mi ritrovavo all'improvviso sotto una grandinata e i chicchi mi colpivano la testa con forza. Fisso un punto sul soffitto, le coperte tirate fino al mento. Poi un rumore mi costringe a girare la testa. Ma sta grandinando sul serio? Scatto a sedere, le orecchie tese in ascolto. Di nuovo quel suono. Mi alzo e vado alla finestra. Balzo all'indietro appena vedo qualcosa venirmi addosso e colpire il vetro con un tonfo secco. Lancio un'occhiata sul balconcino e noto almeno una decina di sassolini grigi. Apro l'anta e metto un piede fuori, stringendomi nel pigiama per non congelare. È ancora buio, eccetto per la luce dei lampioni che proviene dalla strada.
«Era ora, accidenti!» sento bisbigliare dal giardino.
Connor è dietro uno degli alberi, con una manciata di pietruzze in mano.
«Che diavolo ci fai qui?» domando stupita trattenendo una risata.
«Stavo collaudando la resistenza dei vetri» risponde lui.
Con un cenno del capo gli indico la finestra della camera di mio padre e mi porto un dito davanti alla bocca intimandogli il silenzio.
Connor allora estrae il cellulare e mi fa capire di prendere il mio. Torno dentro e mi arriva subito un messaggino.
Vestiti, io ti aspetto in macchina.
Dove andiamo?
Sorpresa. Abiti comodi.
Per curiosità guardo l'ora sul display. Le sei? Che cosa ci fa Connor Brown nascosto nel mio giardino alle sei del mattino di sabato? Punto dritta all'armadio. Abiti comodi, dice. Può significare tutto e niente. Perciò tiro fuori un paio di leggings e un maglione azzurro cielo a maglia grossa lungo fino ai fianchi in modo che nasconda un po' le curve che non ho. Poi mi fiondo in bagno: mi lavo in fretta e furia, passo un velo di mascara sugli occhi, poi spazzolo vigorosamente i capelli che diventano elettrostatici e salgono intorno alla mia testa come un'aureola. Cercando di ignorare questo piccolo inconveniente, mi vesto, metto gli Ugg, prendo la borsa, il giaccone color cachi, sciarpa, berretto di lana e facendo meno rumore possibile scendo le scale e mi fiondo fuori di casa. Corro verso la macchina e mi abbandono sul sedile del passeggero.
«Buongiorno!» mi saluta Connor regalandomi un sorriso smagliante.
«Dimmi come fai a essere così perfetto a quest'ora?» rispondo sbadigliando.
Il suo giaccone è buttato sul sedile posteriore e lui indossa una felpa grigia, le maniche tirate fino al gomito, e un paio di jeans neri infilati dentro gli stivaletti scamosciati. Rimango per un istante a fissare il tatuaggio che si dirama sul suo braccio e che non avevo mai visto così da vicino. Al polso ha un braccialetto d'oro e uno di cuoio spesso, infine un anello in metallo al pollice.
«Ti ho buttata giù dal letto?» domanda innocente sapendo benissimo la risposta.
«No, figurati, di solito mi alzo alle quattro.»
«Accidenti, allora potevo passare prima!» Ride e ingrana la marcia.
«Si può sapere dove mi porti?»
«Prima di tutto pensavo di andare a fare colazione. Che ne dici?» chiede lanciandomi un'occhiata.
«Ho proprio bisogno di un caffè.»
Appena entriamo nella caffetteria vengo investita da un piacevole tepore e dal profumo di caffè e zucchero. Ci accomodiamo a un tavolo vicino a una delle vetrate, e leggiamo il menù. Connor ordina un caffè e un muffin ai mirtilli mentre io opto per una ciambella alla crema.
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AGAIN (1)
Teen Fiction!!QUESTO LIBRO è GIà DISPONIBILE NELLE LIBRERIE E SU AMAZON IN CARTACEO E DIGITALE!! Quando la madre si trasferisce in Cina per lavoro, Rachel, diciassette anni, è costretta a tornare a vivere nel paese della sua infanzia con il padre, che non vede...