La studio della dottoressa Gomez è incredibilmente lussuoso. Mi fa cenno di accomodarmi sulla poltrona di pelle marrone di fronte alla scrivania di legno bianco lucidissimo. Forse è meglio che studi psicologia al college, se questi sono i risultati... La dottoressa è, be' che dire?, una meraviglia. È la donna più bella che abbia mai incontrato. Ha un fisico mozzafiato. Il completo che indossa le aderisce al corpo come un tatuaggio senza essere volgare. Pelle abbronzata, capelli neri, occhiali dalla montatura spessa calati sul naso. Metterei la firma per essere così alla sua età. Probabilmente se non avessi il cellulare di Isabelle nella tasca della felpa e il pensiero della mia vendetta in mente, sarei più a mio agio. Invece non vedo l'ora di andarmene da qui per completare il mio piano prima di cambiare idea.
«Buongiorno, Rachel Anderson» mi dice alzandosi e stringendomi la mano. Anche la sua voce è ipnotica, sembra quella della mamma quando ti canta la ninna nanna da bambino.
«Salve» rispondo.
Mi sono assicurata che nessuno mi vedesse entrare qua dentro, sarebbe stato umiliante. Questa cosa della psicologa è una totale fesseria.
«Sai perché sei qui Rachel?» mi domanda.
«Non ho fatto in tempo a chiederlo agli uomini incappucciati che mi hanno caricata in macchina, me lo dica lei.»
Proprio non mi piace stare qui, sono nervosa e agitata. Lei mi fissa per un interminabile secondo. Guardo l'orologio nella speranza che la nostra ora sia magicamente già alla fine e invece sono passati appena due minuti e tredici secondi.
Quattordici.
Quindici.
Sedici.
«Il preside ritiene opportuno che tu ti apra con uno specialista. Io mi occupo sia degli studenti sia del rapporto con le famiglie. Sono un punto di riferimento in questo istituto» attacca lei. «Tu sei nuova e sembra che abbia difficoltà ad ambientarti. Troveremo una soluzione insieme.»
«Io avrei cominciato dal non costringermi a venire qui» borbotto.
«Ti hanno trovata con degli psicofarmaci nello zaino, ne fai uso spesso?»
«Veramente mai. E comunque sono svenuta per una sindrome strana e misteriosa conosciuta comunemente come "Mal di scuola", non so se va la fanno studiare all'università.»
«Parlami un po' di te» prosegue la dottoressa Gomez imperturbabile.
«Mi dica lei quello che sa di me e io poi confermo o smentisco » rispondo alludendo alla cartellina blu con scritto Anderson sull'etichetta.
Lei non raccoglie la provocazione, così sospiro e comincio a parlare: «Mi chiamo Rachel Anderson, ho diciassette anni e abito con mio padre perché mamma, al momento, è in Cina a far carriera. Papà mi tratta bene, mi dà da mangiare, mi veste eccetera eccetera» incrocio le braccia al petto e sprofondo nella sedia.
«Parlami di tua madre.»
«Ha poco più di trent'anni, perché è rimasta incinta alle superiori. È simpatica, buffa, la adorano tutti e lei adora il mondo e la vita che la circonda. Andiamo molto d'accordo.»
«E tuo padre?»
«Lavora sempre, parla poco, non sa cucinare.»
Noto che continua a prendere appunti.
«E i tuoi compagni, invece?»
«C'è Sanne. È una tipa a posto, però non so granché di lei. Poi c'è Malek, sempre concentrata sui libri.»
«Poi?»
«Poi cosa?»
«Tutto qui?»
«Perché? Non devo mica creare una confraternita. Non mi interessa stringere amicizie. Devo rimanere qua solo altri pochi mesi, poi torno a casa.»
«Interessante.» Annota qualcosa sul suo taccuino.
«Ragazzi?» chiede ancora.
«Ragazzi?» ripeto.
«Sì, ragazzi.»
«Nessuno.»
«Nessuno che ti interessi?».
«Se non sono qui per fare amicizia, non sono qui neanche per trovarmi il ragazzo» le spiego.
Penso a Connor e a Logan. Poi a quello che ha detto Isabelle. Questa giornata mi sembra infinita, ho bisogno di andare a casa.
«Cosa mi dici di Isabelle Howard?» domanda la dottoressa, riportandomi alla realtà. «Mi sembra che non andiate molto d'accordo. La conoscevi già da prima, giusto? Quali erano i vostri rapporti?»
Ci rifletto un attimo. Cosa dovrei dirle? Che in un passato ormai lontano eravamo amiche, dopodiché lei ha deciso di rendere la mia vita un inferno?
«Mettiamola così, dottoressa» ribatto sporgendomi in avanti, «la signorina Howard viene da una famiglia ricchissima e tutti qui fanno quello che dicono loro. È cresciuta a immagine e somiglianza di Barbie perché sua madre non ha mai capito la differenza tra una bambina e una bambola di plastica. Suo padre è uno degli uomini più influenti della città e immagino che sovvenzioni iniziative come lo psicologo della scuola e forse paghi anche il suo stipendio.» Mi riappoggio allo schienale.
«Rachel, ascoltami bene.» All'improvviso mi pare meno materna. «Lo so che la figura dello psicologo può risultare "strana" alla tua età, soprattutto a scuola. Ma non c'è niente di cui vergognarsi. Sono state programmate cinque sedute, e anche senon sei d'accordo, non puoi sottrarti, quindi tanto vale affrontare le cose come si deve, no?»
Accidenti, questo tono accondiscendente mi fa quasi sentire in colpa.
«Spero che la prossima volta tu sia più collaborativa. Possiamo farci delle bellissime chiacchierate e usare il nostro tempo in maniera più proficua.»
Si alza e mi porge la mano con un sorriso splendente ma che, lo capisco benissimo, è finto. Abbiamo già finito? Guardo l'orologio: mancano ancora venti minuti.
«Arrivederci, Rachel» mi congeda.
«Arrivederci» balbetto, ricambiando la presa.
«Pensa a quello che ti ho detto, mi raccomando» mentre mi avvio alla porta. «Vedrai, diventeremo ottime amiche.»
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AGAIN (1)
Teen Fiction!!QUESTO LIBRO è GIà DISPONIBILE NELLE LIBRERIE E SU AMAZON IN CARTACEO E DIGITALE!! Quando la madre si trasferisce in Cina per lavoro, Rachel, diciassette anni, è costretta a tornare a vivere nel paese della sua infanzia con il padre, che non vede...