«Ti piace, vero?» mi domanda Sanne a un tratto.
Siamo sedute sugli spalti del campo di football. Non so quali parole magiche abbia usato stavolta la mia amica, eppure è riuscita a convincermi a venire a vedere la partita della nostra squadra. Questa ragazza mi stupisce ogni giorno che passa.
«Chi?» domando distratta.
«Connor.»
«No!»
«Non gli stacchi gli occhi di dosso» insiste.
«Questo solo perché dobbiamo tifare per la nostra squadra» mi difendo.
«Be', anche lui non ha fatto altro che guardare da questa parte.»
«Forse dietro di noi c'è qualche suo conoscente.»
«Suo padre è là.» Me lo indica.
È l'uomo che avevo visto il primo giorno di scuola con il preside.
Dopo qualche minuto la partita finisce. Dalle tribune si leva un boato e i giocatori si radunano verso la panchina per festeggiare e vedo Isabelle e le altre ragazze cominciare una coreografia. Indossano delle minigonne cortissime, che lasciano ben poco all'immaginazione.
«Ehi bella ragazza!» Mi giro perché sento la voce di Connor. Sta camminando con la maglietta in mano. È a petto nudo nonostante il freddo e si dirige chiaramente verso Isabelle. Trattengo il fiato. I pettorali definiti, le braccia forti, gli addominali da statua greca. E il tatuaggio. Un enorme tatuaggio che gli copre il braccio sinistro e si dirama dietro, dalla base del collo fino a metà schiena. Sono ipnotizzata. Vorrei toccare la sua pelle, seguire con le dita ogni singola linea di inchiostro. Vorrei sentire quelle mani su di me. Lancia la maglietta a Isabelle che la afferra al volo. Quel gesto mi riporta di colpo alla realtà.
«Vatti a cambiare, ti aspetto alla macchina» trilla lei.
Lui lancia un'occhiata nella mia direzione, a mo' di sfida. Cerco di fare finta di niente, ma quel ragazzo mi farà letteralmente perdere la testa.
Mi incammino attraverso il parcheggio dove c'è un gran movimento di gente. Non vedo l'ora di tornarmene a casa, questo pomeriggio si è rivelato fin troppo lungo per i miei gusti.
«Sono veramente deluso!» sento esclamare a un tratto.
Poco lontano da me noto il signor Brown e Connor che stanno discutendo. Mi guardo intorno imbarazzata, forse dovrei girare alla larga.
«Non perdo il mio tempo per assistere a una prestazione come quella!» inveisce l'uomo.
«Allora perché la prossima volta non te ne stai a casa, invEce di venire a criticare ogni mio movimento?» risponde Connor.
«Hai giocato da schifo, Connor, te ne rendi conto? Neanche una femminuccia sarebbe stata pessima come te.»
«Oggi non avevo voglia.»
«Non avevi voglia? Sei il capitano, dannazione! Sei la persona più importante della squadra, l'esempio per i tuoi compagni. Non puoi permetterti questi errori.»
Il signor Brown sembra veramente arrabbiato. Osservandolo con attenzione posso dire che non si somigliano granché. Connor è robusto e atletico, mentre il padre è più gracile benché dal piglio autoritario, forse per via dei baffi folti.
«Sei un Brown. Sei mio figlio. Abbiamo un ruolo in questa cittadina. Secondo te io lavoro solo quando ne ho voglia?»
«Non saprei, dimmelo tu.»
«La vita è fatta di doveri. Ed è tuo dovere essere un capitano perfetto. La borsa di studio è a un passo da te.»
«A che cosa mi serve una borsa di studio quando abbiamo abbastanza soldi per mantenermici a vita al college? Perché non lasciare che sia qualcun altro a prenderla?»
«Cosa?»
«A me non serve una borsa di studio. A Logan invece sì, senza non potrà andare all'università. Per quello che me ne importa può farlo lui il capitano.»
Intravedo il signor Brown afferrare Connor per un braccio e tirarlo vicinissimo al suo viso.
«Tu non farai niente del genere» lo ammonisce. «Non voglio un figlio rammollito. È una questione di principio. Devi prenderti tutto quello che ti meriti. Se lui ha bisogno della borsa di studio, doveva giocare meglio.»
«Lasciami andare» sibila Connor.
«Ci sono dei doveri. Delle responsabilità. E se ti sembrano assurdi o incomprensibili, li capirai con il tempo. Devi iniziare adesso a creare ciò che sarai in futuro. Niente sbagli. Niente ripensamenti. Niente debolezze. Non importa cosa è giusto o cosa no. Contano gli obbiettivi e tu devi raggiungerli.» Il signor Brown allenta la presa. «Parlerò con il signor Burnes. Magari lo inviterò a cena. Voglio che intensifichi il tuo allenamento come punizione. Deve farti sudare. Se le cose facili non ti piacciono allora proviamo in questo modo. Magari ti ricorderai chi sei.»
«Sono il figlio di un avvocato senza scrupoli» ribatte Connor.
«Questo avvocato senza scrupoli ti ha permesso di crescere nel lusso e di essere un viziato. Dovresti solo ringraziarmi.»
«Sì, magari un giorno, quando sarò rinchiuso in manicomio » ridacchia Connor.
«Devi farti le ossa se vuoi essere un avvocato. O non otterrai mai il potere.»
«Io non voglio fare l'avvocato, e tu lo sai benissimo.»
«Ancora con questa follia? Ne abbiamo già discusso.»
«Forse non ne abbiamo parlato abbastanza se tu ancora non hai capito. Io non sarò un avvocato.»
Il signor Brown scoppia a ridere. «Certo che lo sarai. Mi affiancherai in ufficio e il giorno in cui mi ritirerò prenderai il mio posto nel piccolo impero che ho costruito. Sarai un eccellente professionista. Il nome dei Brown è rinomato.»
«Sei un illuso.»
«Fammi sentire le tue idee, allora. Tu vorresti fare il giornalista, vero? Uno squattrinato che scarabocchia su un foglio.»
«Ti ricordo che anche la mamma era una giornalista.»
«Tua mamma era una firma in un giornale.»
«Io voglio essere come lei.»
«Tu» urla all'improvviso il signor Brown prima di darsi un contegno, «non farai nulla del genere» prosegue più pacato.
«Non voglio più ascoltare questi discorsi né entrare in argomento. Ti aspetto a casa.»
«Non tornerò a casa» dice Connor e si volta per raggiungere gli spogliatoi.
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AGAIN (1)
Teen Fiction!!QUESTO LIBRO è GIà DISPONIBILE NELLE LIBRERIE E SU AMAZON IN CARTACEO E DIGITALE!! Quando la madre si trasferisce in Cina per lavoro, Rachel, diciassette anni, è costretta a tornare a vivere nel paese della sua infanzia con il padre, che non vede...