AGAIN _ 9.3

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Apro gli occhi e tutto mi sembra confuso. Rumori, suoni, odori, luci mi arrivano attutiti, sfocati come avvolti nella nebbia.

Sento il cuore pulsarmi nelle orecchie talmente forte che mi fa quasi male. Provo a girarmi, ma un dolore acuto mi attraversa il corpo e la testa comincia a girare terribilmente. Dove sono? Cosa mi è successo? Dove sono le mie amiche?  Il panico mi assale e il respiro accelera. Chiudo gli occhi e mi porto le mani alle tempie nella speranza che questo senso di malessere finisca. Inspiro a fondo cercando di calmarmi e, piano piano, la vista diventa più nitida.

Sono in una stanza e alcune persone si muovono confuse intorno a me. Il collo mi fa malissimo, come se fosse stato costretto in una posizione scomoda per troppo tempo. Ma da quanto tempo sono qui? Che ore sono? Mi rendo conto di essere su un divanetto. Ho una giacca addosso, però sono scalza. Lentamente provo ad alzarmi, la stanza vortica davanti ai miei occhi. Una stretta allo stomaco mi paralizza, per fortuna vicino al divanetto c'è un'enorme pianta.

Mi sporgo e vomito tutto il mio malessere. I conati mi scuotono con violenza, ma hanno almeno il potere di farmi sentire un po' meglio. Quando finalmente riesco a rimettermi in piedi, capisco di essere ancora a casa degli Harris e intorno a me ci sono altri ragazzi più o meno coscienti buttati su divanetti e poltroncine. I camerieri ci sfrecciano accanto senza degnarci di uno sguardo, quasi fossimo parte della tappezzeria. La stanza è piena di relle con appese giacche e cappotti, forse è il guardaroba. Sento in lontananza il rumore della musica, ma mi sembra provenire da un'altra dimensione.

Che ci faccio qui? E dove sono le mie scarpe? Non ricordo assolutamente nulla. Provo a spremere le meningi ma niente, il vuoto. Scavalco una ragazza e percorro un corridoio, sperando che mi conduca verso l'ingresso. Ma Sanne e Malek dove diavolo sono? Perché mi hanno mollata qui? La testa ricomincia a girare e comincio a vedere tanti puntini luminosi, di nuovo mi sale la nausea. Mi appoggio al muro per non cadere.

«Rachel!»

Non riconosco di chi sia questa voce, mi sembra arrivare da una caverna.

«Rachel!»

All'improvviso mi sento afferrare e sollevare. Il mio corpo si abbandona a peso morto. Non ho nessuna reazione, non sono in grado neanche di sollevare un mignolo. La mia testa va su e giù mentre qualcuno mi porta chissà dove e mi viene il mal di mare. Qualcuno mi sta parlando, però non posso rispondere, non ce la faccio.

Mi caricano su una macchina e subito qualcuno mette in moto. Il silenzio mi avvolge. Vedo dal finestrino le luci dei lampioni che scorrono veloci e chiudo gli occhi. Il movimento della macchina mi culla come un neonato. Perdo i sensi per un po', finché non mi ritrovo sdraiata su un divano. È comodissimo e morbido, profuma di buono. Mi sembra il paradiso. La figura seduta ai miei piedi piano piano prende forma.

«Papà?» mormoro, prima che tutto diventi buio.

Quando riapro gli occhi, la testa mi ronza come se fosse invasa dalle api. Il sole filtra dalle finestre, segno che è una bella giornata ma sicuramente gelida. Provo a mettermi seduta, ma ho l'impressione di avere delle pietre attaccate al cranio. È una fatica enorme.

Un movimento mi fa voltare. Papà è seduto sulla poltrona, i gomiti sulle ginocchia, le mani giunte e lo sguardo truce. Credo di non averlo mai visto così arrabbiato.

«Buongiorno» balbetto.

Non so bene che ore siano.

Per tutta risposta lui sbuffa, si alza ed esce dalla stanza. Poco dopo lo sento armeggiare in cucina. Mi sento tremendamente in imbarazzo. Il silenzio è pesante, rotto solo dal ticchettio della pendola sopra il camino. Dopo interminabili minuti papà ritorna con un bicchiere d'acqua e un'aspirina. 

AGAIN (1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora