Capitolo 21: pentimento

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MODIFICATO

[Luca]
Quando venne un'infermiera a dirci che potevamo vederla, nessuno aveva il coraggio di aprire la porta che ci separava da Camilla. Alla fine mi feci forza ed entrai per primo nella stanza. Era identica a tutte le altre: bianca, con un odore di medicinali e, cosa più inquietante, un silenzio insostenibile rotto solo dal bip bip delle macchine.
Lei era stesa sul letto, pallida da far spavento, con la testa fasciata e collegata alle macchine tramite dei fili e dei tubicini. Iniziai a piangere silenziosamente mentre mi sedevo sul letto accanto a lei e le prendevo una mano; era gelida.
Odiavo gli ospedali, e odiavo qualsiasi cosa avesse a che fare con la medicina, sebbene entrambi i miei genitori fossero medici. Gli ospedali mi sapevano di morte, dolore e sofferenza, ed ora pensare che la persona più importante di tutte stesse lottando tra la vita e la morte mi faceva impazzire. Non potevo lasciarla andare, non ero pronto a vivere senza anche solo vederla da lontano.
Ma un'altra cosa che non riuscivo a perdonarmi era che lei se ne stava andando arrabbiata e delusa da me, senza nemmeno che io potessi scusarmi. Certo, se non l'avessi fatta soffrire ora non ci saremmo ritrovati in quella situazione. Ma che alternative avevo? Nessuna.
Pensando a queste cose mi tornarono in mente le parole che Rebecca mi aveva rivolto prima di andarsene. Sebbene la gran parte della colpa fosse sua, il suo pentimento e la sua preoccupazione mi sembravano sinceri, così decisi di scriverle un messaggio. -Hanno finito di operare Camilla. Ha un trauma cranico abbastanza grave ed ora è in coma. Non sanno né se né quando si risveglierà. Domani non vengo a scuola, resterò con lei-
La risposta arrivò poco dopo: -mi dispiace moltissimo; mi sento tremendamente in colpa per quello che le è successo. Se non è un problema vorrei venire a trovarla, e credo anche di dovere delle spiegazioni a te e a tua sorella-
Risposi con un semplice -va bene- e spensi il telefono, tornando a guardare il volto pallido di Camilla. Le accarezzai una guancia. <<Perdonami>> sussurrai prima di uscire dalla stanza.
Cristina entrò immediatamente, chiudendosi la porta alle spalle, ed io mi diressi verso i miei genitori. <<Io resto qui fino a quando non si sveglia>> dissi deciso.
Mia madre mi guardò triste e annuì: sapeva che non avrei ceduto. <<Vado a prenderti dei vestiti>> disse mesta, alzandosi. <<Ma, Luca, tra al massimo una settimana tornerai a scuola, anche se Camilla non si sarà ancora svegliata. Non puoi perdere l'anno. Il pomeriggio potrai stare qui quanto desideri>>
Annuii e andai a sedermi accanto a Sofia. Lei non mi guardò, ma posò la testa sulla mia spalla, continuando a piangere. <<Ti odio Lu, ma ho bisogno del mio fratellone>> mormorò.
La abbracciai con tutte le mie forze. <<Ed io ho bisogno della mia sorellina>>
Restammo così, abbracciati, per tutta la notte, fino a quando non ci addormentammo.

~

Rebecca arrivò verso metà pomeriggio, con gli occhi tristi e pieni di rammarico. Si fermò davanti a me e Sofia e, dopo un attimo di esitazione, mi abbracciò dolcemente, consolandomi; la strinsi piano: quel gesto d'affetto non aveva doppi fini.
Si staccò dopo qualche secondo e guardò Sofia, che la fissava con uno sguardo furente. <<Sofia>> mormorò. <<Ti chiedo infinitamente scusa per tutto quello che ho detto e fatto a te e a Camilla. Probabilmente non mi crederai, ma sono pentita, di tutto. Vi invidiavo, vi invidio anche ora, ma questa invidia e questa rabbia mi rendevano cieca. Lo so che è tardi, ma ho capito i miei errori; ed imploro il tuo perdono>> concluse, guardando a terra.
Sofia fremette. <<Come faccio a sapere che non sia tutta una farsa?>>
Rebecca alzò gli occhi di scatto e mi stupii nel notare due grosse lacrime rotolarle sulle guance; aveva gli occhi rossi e così infinitamente tristi che era impossibile che stesse fingendo. Ero bravo a capire chi stava mentendo, e lei era sincera.
<<Dice la verità, Sof>> parlai e mia sorella si voltò verso di me. <<Come fai ad esserne convinto?>>
<<Perché ho visto i suoi occhi. Riesco a interpretarli, lo sai. E i suoi sono sinceri>>
Rebecca mi sorrise debolmente, grata, e annuì.
Fortunatamente Sofia si convinse e si rivolse alla ragazza. <<Non posso perdonarti subito, dopo quello che hai fatto>>
L'altra annuì. <<È giusto. Lo capisco. Ma col tempo spero di poter dimostrare la mia sincerità>>
Scese un silenzio imbarazzante che mi affrettai a rompere. <<Ieri mi hai detto che volevi venire a trovarla. Andiamo?>>
<<Si, grazie>>
Entrammo tutti e tre nella stanza (i medici avevano acconsentito a lasciar entrare massimo quattro persone per volta) e Rebecca si portò le mani alla bocca, lasciandosi sfuggire un'altra lacrima. <<Mio dio, cos'ho fatto?>> ebbi l'impressione di sentirla sussurrare. <<Posso... posso restare qualche minuto sola con lei?>> chiese piano.
Sofia fece per protestare, ma la presi per un braccio portandola fuori. <<Quando hai finito chiamaci, noi ti aspettiamo qui fuori>> le dissi e chiusi la porta.

[Rebecca]
Non potevo credere ai miei occhi: se lei era lì, in quel letto, a lottare per sopravvivere, la colpa era solo mia, mia e del mio egoismo. Mi sedetti sulla sedia accanto al letto e presi delicatamente la mano di Camilla, stando attenta ai tubicini. Era gelida.
Trassi un profondo respiro e iniziai a parlare. <<Ehi ciao. Probabilmente ti starai chiedendo perché sono qui, quando in realtà è a causa mia se ora sei in ospedale>> Tirai su col naso. <<Volevo solo scusarmi, per tutto quello che ho fatto. Forse non mi sentirai, o forse sì, ma non ha importanza, perché quando ti sveglierai mi scuserò di nuovo. Perché tu ti devi svegliare; non puoi andartene. Luca non lo sopporterebbe, e nemmeno Sofia. E poi c'è quella cavalla... Dorinne, giusto?... non voleva allontanarsi da te quando ti hanno caricata sull'ambulanza. Ho saputo che dà retta solo a te, che ti ascolta e ti aiuta, e che tu fai lo stesso; ma se tu te ne vai, cosa ne sarà di lei? Ti prego, ti prego resisti, svegliati, torna a vivere. Tu ami la vita, sorridi e il mondo sorride di riflesso per la tua bellezza, per la tua semplicità, perché sei tu. Io ero così invidiosa di te, hai tutto quello che a me è sempre mancato: l'affetto di una famiglia, degli amici veri e sinceri, l'amore di un ragazzo meraviglioso che pur di vederti in salvo è disposto a rinunciare alla sua felicità. Camilla, sei una ragazza speciale; se te ne vai, la vita di molte persone non sarà più la stessa, inclusa la mia, perché sono io la causa di tutto... ed ora sto anche piangendo>> sorrisi amaramente, asciugandomi le lacrime che continuavano a scendere implacabili. <<Ancora una volta, ti chiedo scusa. Ma tu mi devi fare una promessa: devi continuare a vivere, ti devi svegliare, devi lottare, perché proprio fuori da questa stanza ci sono due persone pronte a riprendere insieme a te il cammino interrotto>> conclusi, tirando nuovamente su col naso, e la guardai.
Camilla era lì, ferma e pallida, identica a prima. Sospirai; le strinsi la mano che ancora tenevo tra le mie e mi alzai, andando ad aprire la porta.
Luca e Sofia erano lì, a parlare sottovoce, e, sentendo la porta aprirsi, si volsero verso di me. Trassi un profondo respiro. <<Credo che sia ora di dirvi tutta la verità>>

Una Cavalla Difficile {Wattys2017}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora