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Pov. Carlotta

Mi stavo lasciando di nuovo coinvolgere dal cristallino di Joshua. La sua vicinanza mi faceva perdere le staffe, una possibile briciola di sanità, veniva svanita in posti remoti e non si ripresentava, non in sua presenza. Perché faceva finta di niente, perché era ancora più odioso di ciò che ricordassi.

Tornai di là, aprendo la porta in vetro dove Greg mi squadrò con sguardo freddo. Ero avvilita ma non lo davo a vedere.
"Carlotta, stamattina hai fatto un casino. Non voglio pentirmene. Proprio perché lo conosci dovrebbe renderti il lavoro più agevolato" mi spiegò rigoroso e severo, avvicinandosi a me.

"Lo so. Mi dispiace" ammisi fievole. Il lavoro più agevolato non lo pensavo. Non sapeva cosa avevo vissuto con Joshua. Si era limitato a dire una verità neutra, ed il resto cos'era? Una messa in scena? Ero stata un burattino manovrato in un teatro mentale fatto solo di emozioni che avevo provato io?! Non credo. Sulla pelle potevo ancora avvertire le scosse ed il fremito caldo, sotto pelle avevo ancora il suo sapore i suoi segni che il tempo aveva coperto ma non a sufficienza. Nulla si può cancellare realmente.

"Tranquilla. Stasera sarai a cena con Joshua. Definirete alcuni particolari prima d'iniziare a partire. So che ha affittato una casa per non essere interrotti da paparazzi o interviste che ti avrebbero raffigurata, montando spettacoli indecorosi. Ha detto di invitare anche il tuo fidanzato" aggiunse infine, abbottonandosi la giacca nera, pulendo degli invisibili grumoli di polvere grigiastra.

"Sei fidanzata?" Mi domandò inarcando un sopracciglio, come se non ne sapesse nulla. Si ricordava ancora della mia bugia, gigante. Ero in un mare di guai in cui sarei annegata inevitabilmente.

"Si" sbottai cercando di essere convincente ai suoi occhi ed un po' anche internamente. Solo una persona poteva aiutarmi. Una che sapeva tutto.

Esalò un respiro nello spazio angusto, prima di sparire dalla porta ed avviarsi nel suo ufficio.
Tornai alla mia postazione, con la testa bassa dove un'Amanda sussurrò un debole ed appena udibile...
"Scusa".

Girai parte del volto verso di lei, con movimento fiacco e privo di vitalità.
"Scusa di cosa? Amanda non avrei potuto evitarlo. Il cantante in voga è lui e comunque non l'avrei evitato per sempre. Prima o poi le nostre strade si sarebbero dovute ricongiungere. Speravo non così...ma..." lasciai la frase in sospeso, scuotendo la testa ed iniziando a pianificare al computer una scaletta. Sarebbe servita ma con Joshua ogni programma veniva smontato.

"Già" mi toccò dolcemente la spalla, mentre annuii elargendo un sorriso debole e stiracchiato che lei allargò amabilmente con due dita, tirandomi le guance.

"Molto meglio" esclamò beffarda mentre scoppiammo a ridere piano, per non portare l'attenzione su di noi.

Tornai a casa. Era tardo pomeriggio, ed il sole stava calando piano sulla strada, facendo divenire tutto più spento nel cielo ma più luminoso sui grattacieli di Time Square.
Frugai nella borsa, svogliata le chiavi, avvertendo il metallo freddo su i miei polpastrelli ed il tintinnio debole.

Aprii la porta per richiuderla in un tonfo sordo. Lasciai cadere la borsa sulla sedia, che si abbandonò fiacca al mio volere.
"Giornataccia?" Sentii la voce di Mitch, ed il mio collo si mosse da solo per cercare la sua figura.

"Lo puoi ben dire" esclamai quasi sconfitta, aprendo il frigo che produsse un rumore gelato.

Raccattai una lattina di birra fresca, che emise un sospiro quando tirai in su la levetta di metallo. Iniziai a giocarci, ripetendo mentalmente l'alfabeto. Poiché stavo perdendo tempo, lo esigevo per ciò che avrei dovuto dire a Mitch.
La lettera che mi uscì non era ciò che volevo. Era destino, fato, sbagliato. La J di quell'odioso.

Un Disastro DivertenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora