39

6.2K 314 168
                                    

Pov. Carlotta

La sua ammissione, il suo confessare tutto. Mi aveva di nuovo riaperto il cuore in tutti i modi possibili. Non avrei mai pensato che fosse stato mio padre la causa di un allontanamento. Come aveva potuto infierire nella mia storia, vedendo la mia tristezza. Certo la celavo in finti sorrisi, stirati e mai naturali. Ostentavo una felicità che non mi apparteneva. Ma avrebbe dovuto capire che la mia unica felicità era avere Joshua con me.

Gli avrei parlato. Al telefono, in viso. Ma ora il mio bisogno primario era di stare con lui. Di sentirmi di nuovo riempire. Di sentirmi smuovere in ogni fibra del mio essere. Non pensare più a nulla. Guardandolo nel suo oceano e scoprire che era tutto cristallino ormai. Nessun petrolio ad inquinare il nostro amore. Ripulito da menzogne. Puro e vero.
Concedermi al suo corpo che mi bramava. Concedermi in tutti i modi, lui era la mia concessione.

Tornammo in Hotel madidi. L'acqua fuori era cessata per poco tempo, arrivandoci a picchi ritmici solo quando poco dopo, lasciammo il gazebo del bar.
Le nostre mani s'intrecciarono e corsero come le nostre gambe. Sceglievamo sempre il tempo sbagliato. Se fuori pioveva, dentro di noi c'era il sole. Ormai avevo imparato questa lezione.

Varcammo la soglia dell'hotel, e sorridemmo piegandoci in due per la foga, affannati e doloranti. Mi portai una mano sul ventre, come a calmarmi,ed i battiti frenetici del cuore, erano dovuti ad una corsa a perdifiato e dalla sua presenza vibrante.

Avvistai Samuel lontano, guardandoci con un sopracciglio innalzato e poi un sorriso spontaneo nascergli sul volto, fresco di rasatura. Aveva capito, ed era contento per me. Lo dimostrava il secondo dopo, facendomi un occhiolino raggiante, che restituii con la stessa enfasi.

Joshua si voltò verso di me, con un'occhiataccia. Geloso. Lo doveva ammettere.
"Samuel. L'uomo dei miei sogni" proclamai beffarda, lisciandomi la camicetta, ed avviandomi verso l'ascensore con un sorrisetto sarcastico. Sentivo i suoi occhi dietro di me, e mi morsi le labbra.

Appena le porte metalliche si spalancarono con un cigolio, entrai seguita da Joshua, che non perse tempo.
Mi prese per i fianchi, facendomi sbattere contro la parete metallica fredda, guardandomi negli occhi.
"Samuel eh?" Domandò serio ed ammaliante, avventandosi sul mio collo per darmi baci umidi, e piccoli morsi che mi portarono ad ansimare ed a serrare le gambe.

"Si Samuel" continuai, invocando il nome del mio amico come un sussurro voglioso.

Si staccò solo quando le porte si riaprirono, e senza darmi tempo, strusciò la carta sulla porta, tirandomi dentro con se. Richiuse la porta con un tonfo pesante, spingendomi fino alla parete candida.
I suoi occhi s'intrecciarono con i miei, un gioco di colori e sfumature assuefacenti.
Sentii la cerniera del mio jeans scorrere giù con un debole graffiato, e dentro di me scorreva voglia.

"Dimmi, Samuel ti fa questo?" Chiese rauco, avvicinandosi alle mie labbra che esigevano le sua, rimanendo dischiuse ad aspettare. Si fece più vicino, vedendo il suo sorriso laterale apparire, e si passò la lingua sul labbro.
Lo lasciai fare, ma dirottò la direzione, sulle mie spalle.
Le sue dita abili, sfilarono ogni singolo bottone della camicetta, togliendomela di fretta dalle spalle, così anche il reggiseno.
Lo guardai lussuriosa, percorrere il mio corpo con la lingua, mordendomi un capezzolo con foga.
Inarcai la schiena, portando una mano su i suoi capelli morbidi che scansò, arpionandomela con il suo braccio.
"Eh no. Non sono Samuel" replicò derisorio, mentre mi sentivo frustrata e mugugnavo per avere di più. La sua lingua torturava entrambi i capezzoli turgidi, senza darmi tregua ad i brividi intensi che si scatenavano su di me.

Un Disastro DivertenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora