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Pov. Joshua

Per tutto il tragitto le parole di David mi riecheggiarono in testa, come un mantra ripetuto più volte. Che cazzo volevano dire le sue affermazione, dette a metà.
C'era un sole che avrebbe scaldato anche i corpi più freddo fuori, ed una luce abbagliante da cui proteggevo i miei occhi con degli occhiali. Ma mi sentivo avvolto dal buio totale.

Azionai la freccia, che picchiava ritmicamente come il frastuono nel mio cuore, svoltando nel parcheggio sotterraneo, dove le ruote strusciarono debolmente sull'asfalto liscio per arrestarsi. Mi sento agitato. Un groviglio allo stomaco mai provato prima d'ora. Come se avessi azionato una centrifuga ad alta velocità, pompasse in alto fino al cuore, e su fino al cervello.

Attraversai la Hall dell'hotel, dove alloggiava Yuri, fino ad arrivare all'ascensore. Forse lì dentro avrei trovato un po' di quiete, o forse no. Mi aggiustai meglio il colletto della maglia, che sembrava soffocarmi e privarmi della riserva d'aria fondamentale. Aspettai impaziente e con un magone che stringeva la laringe, il fatidico Arrivo della magica scatola di metallo. Avvertii il campanellino di arrivo, e le porte metalliche spalancarsi, facendo uscire una coppia di ragazzi giovani che si tenevano per mano. Quella coppia che eravamo io e Carlotta un tempo. Quando non ero un involucro costruito e montato dalla società. Quando ero il vero Joshua.

Deglutii fortemente, entrando dentro e pigiando il bottone freddo per il terzo piano. Guardai quei numeri illuminarsi senza badare al rumore soffice di un'ascensore di ultima generazione, il cui rumore era attutito, ma non potevo attutire o annullare quello che sentivo dentro. Quando il terzo s'illuminò di un verde cangiante, ero ancora poco preparato, le improvvisazioni non erano mai stata il mio punto forte. Ma quale cazzo di discorso potevo prepararmi? Nessuno, e quindi sarei andato ad intuito. Dovevo mettere in chiaro le cose, e l'avrei fatto.

Mi portai le mani nella tasca dei jeans troppo stretti per quel momento, attraversando l'ampio e luminoso corridoio, adorato da Applique bordeaux e Beige. La suola delle mie scarpe di vernice, non si sentiva quasi, grazie alla moquette taupe, e quando intravidi a distanza il numero in rilievo oro, era arrivato davvero il momento.

Strinsi la mano lungo il fianco in un pugno saldo, per alzarla e sbattere le nocche contro la parete liscia e bianca della porta.
Aspettai dei secondi per poi sentire al di là, la voce di Yuri, invadere appena il mio udito, e subito dopo il cigolio tenue della porta, che si spalancò rivelando la sua figura ed il suo sorriso di Giuda.

"Sei arrivato in tempo per..." non lo lasciai finire che presi parola ed entrai dentro con irruenza sbattendo la porta con un tonfo secco.

"Che cazzo hai detto a Carlotta?" Sbottai ispido, vedendolo passarsi un palmo sulla testa pelata, e guadarmi con un ghigno.

"Cosa intendi?" Domandò come se non sapesse, con un sorriso sornione, aumentando in me l'istinto di spaccargli il naso aquilino che si trovava.

"Hai capito bene. Che cazzo le hai detto?" Ricalcai risoluto, sentendo la vena del collo ingigantirsi ed il sangue coagularsi lentamente.

Si girò pacato, aggiustandosi la giacca damascata, come se nulla lo turbasse.
"La verità. Che sei andato ad Hudson Valley" affermò pacato sentendo quel velo di menzogna che celava. Abbassai la testa, rivelando un sorriso derisorio, che si formò sul mio volto, crescendo a dismisura. Finché non mi avventai verso di lui con poche falcate, prendendolo per il colletto immacolato della camicia, portando il suo viso pieno di stupore e perplessità, vicino al mio iroso. Notai le sue pupille dilatarsi visibilmente, mentre i miei occhi potevano essere un fuoco che divampava e bruciava un'intera foresta.

"Non dire cazzate. So tutto, quindi ti ripeto. Cosa le hai detto?" Digrignai i denti talmente forti, che li sentii scricchiolare sotto di me, come se stessi masticando una patatina, allentando piano la presa.

"Che...che eri con mia nipote. Contento? Le ho detto che eri con Madison. Lei sarà la rovina della tua carriera, della nostra carriera" balbettò filante, chiedendomi cortesemente con gli occhi lucidi di lasciarlo. Tolsi la presa dal suo colletto, spintonandolo e vedendolo barcollare appena all'indietro, mentre i miei occhi erano ancora delle micce.

"Della nostra carriera? Di quale carriera parli testa di cazzo?! Sono sempre stato la tua marionetta da esibire. Hai scelto sempre per me. Hai mentito alla donna che amavo ed io ti avevo detto di starne fuori" sbraitai irruente, come un'onda anomala che ti travolge e ti porta a largo, senza poter tornare a riva con le poche forze rimaste.
"Fuori dovevi starne. Mi hai capito?" Rintuzzai aspro, avvicinandomi di nuovo al suo volto pallido, ed il suo leggero tremolio al mento. Che mezz'uomo che era.

"M...mi dispiace. Lei ti stava sempre intorno. Non eri più lo stesso. Dovevo fermarla. Perdonami" si scusò mortificato, come un agnellino impaurito dalla ferocia di un lupo.

Mi portai entrambe le mani su i capelli, esalando un mare di respiri, che appesantivano l'aria, già stantia che aleggiava nella stanza.
"Non lavori più con me. Puoi andare a Montecarlo, puoi fare ciò che vuoi. Preferisco tornare ad essere nessuno, se il prezzo da pagare è dividermi da ciò che amo" rivelai più pacato, ma sentendo il cuore scoppiare, ed un macigno sul letto comprimere l'ossigeno che credevo fosse bastato per non agonizzare, senza riserve.

Passarono dei minuti, prima che parlasse, guardandomi negli occhi.
"Stai rinunciando a tutto per..." si bloccò, vedendo il mio volto rialzarsi e puntare i suoi occhi spenti.

"Hai capito. Mollo tutto per lei. Annulla il concerto. Avrai la parte di soldi che ti spetta. Hai chiuso con me. Hai chiuso" ripetei assertivo, guardandolo intensamente, per fargli capire che non stavo scherzando. Che non ero sarcastico. Che si...stavo rinunciando a tutto per lei. Era l'unico sbaglio che avrei ripetuto miliardi di volte. Era l'unica ragazza che volevo al mio fianco da quando mi comprò quella chitarra nera dove aveva attaccato delle fiamme rosse a stickers. Era l'unica che sapeva risplendere come quella stella cadente. Come quelle stelle sul soffitto.

"Non sai ciò che stai facendo" rispose dopo una manciata di secondi, vedendolo digitare il numero con le dita tremolanti sul telefono, e portarselo successivamente all'orecchio per annullare tutto.

"Lo so eccome" affermai sentendomi più leggero, svuotato da ogni masso che portavo dietro, che faticavo a tenere con me.
Prima di vederlo fissarmi sdegnato ma mai quanto il mio ripudio verso di lui, ed aprire la porta, richiudendola con un tonfo pesante.

Era arrivata la fine. Ma come ogni fine, prevedeva un nuovo inizio. Sarei andato a riprenderla. Stavolta l'avrei fatto. E lei non sarebbe scappata da questo enorme disastro.

-•Abbiamo strappato le pagine bisticciate, quelle foto un po' sbiadite, il tempo ingiallisce non cancella, quello che conserva lo sappiamo noi.
Piccoli ma grandi, distanti ma vicini, sussurri irreali di una vita incastrata tra queste mura. Guardavi fuori vedevi il mio riflesso, resterai comunque il mio tempo miglior speso.

Cercherai tra la folla, un volto che somiglia a me, allora a cosa serve cercare quando sono qui e mi puoi amare. Giuro non voglio scappare sono tornato per restare.

Ti ho mentito, ti ho ferito, hai ragione ad incolparmi, non ho mai detto di essere un santo, ma ti ho promesso che avrei rimediato.

Conserverò come un ricordo lontano nel tempo, questo nostro segreto.
Chiamerò ad un telefono vuoto, che non mi darà risposte e rivedrò le foto.
Rilegate un po' sbiadite. Il tempo logora ed ingiallisce, peccato che ingigantisce.

Era un sentimento anormale, credevano che ci saremmo fatti del male. Ma che ne sanno le persone, che dai disastri tu sei la miglior imperfezione.•-

Un Disastro DivertenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora