Pov. Joshua
Avevamo scherzato e giocato. Eravamo ritornati un po' ad essere noi stessi. Fatti sempre di emozioni contrastanti di contraddizioni semplici, ma eravamo noi.
Ripulimmo il casino lasciato in cucina, una guerra mondiale scoppiata tra quelle quattro mura e su quelle piastrelle beige ed il parquet rovere, che presentava ancora qualche chiazza, dove Carlotta aveva passato lo strofinaccio.
Aveva salutato i suoi genitori ed i miei, e così anche io. Guardai Anthony restio sull'accettare la mia mano. Lo potevo ben capire. Mi ero comportato da ciò che ero diventato senza di lei.
"Quando arrivi chiamami" le urlò dietro le spalle Anny, mentre attraversava la strada, facendo il giro per aprire lo sportello.
"Sarà fatto" le rispose con un sorriso dolce che le rilassò i tratti docili del viso, per accomodarsi sul sedile, chiudendo debolmente lo sportello. Ed ora assunse di nuovo quell'aria contratta. Di chi doveva stare lì contro il suo volere. Come imprigionata in un posto che non le stava più consono addosso.
Salutai Anny e mia madre con un'alzata di mano, prima di girare il volante e partire. Ormai era sera inoltrata. La luce potente dei lampioni si stagliavano addosso a noi, sbattevano sul vetro e sul percorso asfaltato della strada. Il silenzio era pesante quanto il buio che ci avvolgeva. Non era più tardi delle nove e mezzo, constatai dall'orologio che pulsava ogni minuto, sul vetro del cruscotto, appena sopra la radio spenta.
"Una bella giornata" presi una boccata per parlare e sciogliere parte di tensione integrante che veniva ingerita ogni secondo sempre di più, quasi a diventarne ingordi.
Gettai un'occhiata fugace verso di lei, senza perdere del tutto la concentrazione sulla strada che si prospettava di fronte, sorpassando un dosso. Aveva il volto girato verso il finestrino ma i suoi occhi incrociarono i miei, mascherando il fatto che l'avessi colta a guadarmi. E di nuovo sfuggì, verso un punto non definito che non si vedeva dal buio fuori.
"Direi che un po' di musica ci sta tutta" ritentai mio malgrado ad iniziare una conversazione: sembrava che la Carlotta di quella casa, una volta messo il naso fuori sparisse, e diventasse una maschera di cera, impossibile da sciogliere. Una di quelle che erano esposte nei musei delle cere. Fredde e rigide. Da posture meccanizzate. Dove ogni dettaglio veniva scolpito alla perfezione, ma non trasmettevano niente, se non il vuoto negli occhi spenti.
Pigiai il pulsante della radio, alzando appena con la manopola il volume, a diciassette. Né troppo basso né troppo alto. Il giusto per mantenere un sottofondo.
Cambiò posizione delle gambe. Le ginocchia da prima stese fino a toccare con le scarpe la fine del tappetino, si drizzarono, per far battere il dietro delle ginocchia al sedile, mostrando le scarpe.
La borsa tenuta in grembo come uno scudo. Possibile proteggersi da qualcosa dove non hai alcuna protezione.Le note camminavano sulla strada, l'aria pesante. Abbassai appena il finestrino per far entrare un refolo leggero di vento fresco. I suoi capelli si mossero leggermente, alcune ciocche dietro e si riposarono sulla sua cascata di seta.
Tenevo il volante saldo, quasi ad aver paura che le mie mani scivolassero verso il suo corpo. In qualsiasi parte, bastava toccare la sua pelle. Così liscia e morbida, da renderla irresistibile.
Sbruffò appena, portandosi una ciocca dietro l'orecchio e mostrare un orecchino di perla avorio.
"Voglio fermarmi" proruppe ad un certo punto, spezzando il silenzio che era solo fatto dalle melodie della musica."Vuoi scendere dalla macchina? Ma che cazzo di..." non finii poiché la vidi scuotere la testa, come a prendermi per matto.
"Voglio fermarmi ad un pub. Ma non in quello di Mitch." aggiunse gesticolando, come se non volesse portarmi in quel posto.
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Un Disastro Divertente
ChickLitJoshua e Carlotta ormai hanno ventisei anni. Hanno intrapreso strade diverse, un allontanamento avvenuto qualche anno prima. Hanno una carriera da portare avanti, una vita Rose ma senza Fiori. Lei più disinibita che mai, e sicura di sè. Lui sempre i...