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Pov. Joshua

Era stato bello ritornare ai vecchi tempi. Era un viaggio temporaneo, come una macchina ma ritornammo al passato, il futuro era una grande incognita e per quanto lo volessi nascondere in quel futuro vedevo sempre e solo Carlotta.

Il nostro stare insieme in macchina, i ricordi sbocciavano come fiori in primavera, e potevo sentirne ancora l'odore della sua pelle profumata di susina e dei suoi ansimi che riecheggiavano in ogni angolo.

La lasciai tornare dentro casa sua ed io dentro casa mia. Come quando eravamo ancora dei ragazzini. Forse sapevamo meglio a quell'età cos'era l'amore. Cosa ci legava come una catena d'acciaio inossidabile. Mentre quando si diventa grandi, siamo più realisti, non guardiamo più con occhi innocenti e pieni di magia semplice, ciò che ci circonda. Non ci soffermiamo alle piccolezze. Tendiamo a scrutare le cose ma in maniera piatta e superficiale.

Abbracciai mia madre, che anche se ormai aveva cinquantaquattro anni, era di una bellezza senza precedenti. Come mio padre che avanzava verso la sessantina. I capelli brizzolati ormai ma sempre con un fisico da fare invidia addirittura a me stesso. Credevo che era il tanto adorato sport, che li mantenesse così giovani e con i volti rilassati. Ed invece era il frutto di un'amore vero. L'amore ci fa sentire liberi, non usano barriere, sei te stesso. Ami e odi i difetti di quella persona perché senza tali non sarebbe la stessa. Ed era per questo che mantenevo la mia teoria che odio e amore andavano di pari passo, camminavano su un filo sottile. La via di mezzo era l'accettare tutto ed imparare a conviverci.

"Questa sorpresa?" Domandò mia madre, tirandosi su le maniche della felpa grigia, mentre preparava un the verde biologico. Notavo con molto piacere che le sue abitudini non erano poi molto cambiate, ma i centrifugati erano un ricordo lontano.

Mi sedetti sullo sgabello di legno, poggiando i gomiti sull'isola in legno faggio.
"Ero qui a New York. Ripartirò tra due giorni e quindi sono passato. Mi siete mancati da impazzire anche se siete venuti all'ultimo concerto. Non vi ho vissuto come avrei voluto." Ammisi fievole l'ultima parte. Amavo il mio lavoro, cantare era una passione che avevo sempre coltivato come un seme che pianti e lo vedi crescere diventando un albero forte e solido con delle radici. Ma mi aveva portato anche a sradicare molte cose importanti. La famiglia e lei.

"Lo so tesoro. Ma era un caso che sei venuto con Carlotta?" Da donna curiosa e intelligente, aveva fatto due più due, arrivando alla domanda fatidica.
Mi porse una tazza con il the, che scansai gentilmente, per alzarmi e prendermi un po' di caffè tenuto al caldo in un termos bianco.

"No. Lei sarà la presentatrice del programma, reality, che terrò" rivelai semplicemente, nascondendo le mie labbra con la tazza. Ero agitato ma al tempo stesso immensamente felice di poterla avere a stretto contatto per un mese. La mia mente elaborava stratagemmi ma mi ero accorto che non era più quella ragazzina. Era una donna.

La vidi annuire, mascherando un sorrisetto compiaciuto.
"Capisco" affermò alzando le spalle, e posando la sua tazza e la mia tazzina celeste nel lavabo di marmo.
"Le hai fatto male. Ho visto quanto ha sofferto la tua non presenza, ogni festività. E ancor di più quando vi siete lasciati. Veniva poco a trovare Anny. Poiché le chiedeva sempre di te, e la capivo, quindi io non m'intromettevo. Ti dico solo che se non riesci a trovare posto per lei..." si fermò un attimo per venirmi in contro, poggiando le sue esili e affusolate mani sulle mie spalle ampie, decifrando le mie emozioni con i suoi occhi verdi e lucidi.
"E con posto non intendo, tu che torni a casa per due giorni ed un mese sei fuori per fare tour a destra e a manca. Non ti vogliamo privare del tuo lavoro stupendo e della tua vita. Solo che non fa per Carlotta, lei ha trovato un lavoro splendido, sta riprendendo la sua vita in mano, e non si accontenta più delle briciole, di una relazione ad accontentino. Specialmente per un futuro, e per quando un giorno sarà madre. Perciò se non pensi di poterle dare ciò che si merita, non illuderla. Non fatevi male. La considero come una seconda figlia, e non voglio vederla soffrire" tirò su con il naso, vedendo una piccola lacrima trasparente, vibrare sotto la rima cigliare dove aleggiava della matita celeste. Le sue parole erano carezzevoli quanto altrettanto sommesse, da farmi scavare un buco in mezzo al petto. Mi sentivo uno stronzo. Non potevo darle ciò di cui aveva bisogno. Non potevo assicurarle un futuro roseo, e la mia costante presenza. Certe volte per amore siamo disposti a lasciar libera la persona che ami. E lo ammettevo di nuovo più di prima, che io Carlotta l'amavo. Ieri, oggi, e probabilmente anche un domani. Era rara, preziosa, un'essere mistico, una mia piccola spocchiosa dolce. E volevo vederla volare libera e diventare sempre la farfalla più bella e vivace di tutte.

Un Disastro DivertenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora