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Pov. Carlotta

Perché mi ero comportata così? Ero stata scontrosa, burbera, ispida. Per il semplice fatto che a me di Joshua importava ancora, e tanto, forse troppo. Il fatto che l'avesse dato a Madison mi corrodeva ancora di più. Mi bruciava viva dentro, un fuoco che non potevo spegnere. Era sempre stata il motivo dei nostri litigi, allontanamenti, in quel passato di cui ora sembrava non esserci più traccia. Avevamo fatto tabula rasa dei ricordi. Ma io ricordavo, erano nitidi e così vivi, che li toccavo ancora, che ci vivevo ancora all'interno, come un sogno eterno, dove trovavo la pace dei sensi.

Non lo lasciavo finire di parlare, non volevo sentire la sua voce rauca che ogni volta mi mandava in escandescenze. E forse eravamo destinati ad avere la stanza accanto. Ed ora questa carta da parati bianca perlata con motivi arabesque dorati, mi confermava che dietro ad uno strato di cemento, vi era lui. Non avevo quiete.

Appena andammo in Hotel chiamai Mitch. Mi aveva scritto dei messaggi ed era già preoccupato. Non si ricordava più a quanti gradi dovesse mettere i bianchi, nonostante il mio schema. Aveva detto che era troppo complesso ed avevo fatto troppe frecce come un'anagramma. Ero precisa, era forse sbagliato? Forse stavo tornando ad essere più calcolatrice che sentimentalista. Forse era perché non volevo più vedere il mio cuore lasciato per strada. L'avevo sepolto sotto quell'albero. Tra terreno e ghiaia.

Mia madre ovviamente mi faceva mille raccomandazione. Capivo che il tempo passava, ma certe cose rimanevano intatte. Come il suo essere sempre, troppo apprensiva.
Forse da quando mia nonna non c'era più era divenuta ancora di più protettiva. Avevo visto quanto stesse male, lo stesso dolore che provavo io. Ricordavo le passeggiate alle Cascine, per le giostre e le bancarelle. Ricordavo il profumo della sua torta di mele. Quel sorriso e quelle frasi di conforto, sotto a metafore strane.

Erano passati due anni dalla sua morte. E Dio. Avrei voluto chiamarla anche solo per un semplice:
-Sai nonna, Joshua è tornato di nuovo nella mia vita.

E lei sicuramente avrebbe detto:
-ogni strada che si percorre ci riporta sempre al punto di partenza.
Per farmi intendere che non si può scappare o trovare scappatoie. Ovunque andassi lui c'era. Non lo vedevo ma era lì.

Ciò che mi faceva più male, era che non si era fatto vivo al suo funerale. Troppo impegnato in un tour per venire a darmi un supporto morale. Mitch invece era con me. Non l'aveva conosciuta ma era uguale. Lui era venuto dando le condoglianze alla mia famiglia ed una spalla su cui sfogare i miei giorni neri e bui, quelle notti dove neanche le stelle luminose nel
Soffitto di Joshua, m'illuminavano più.
Addirittura Devis, mi aveva fatto le condoglianze. Dio che stupida.

Mi tirai su dal letto, a quei ricordi. Dove dolci lacrime sgorgavano dagli occhi e finivano verso le tempie, per bagnare alcune ciocche di capelli.
Scacciai via una lacrima con l'indice, sorridendo.

Stasera sarei dovuta andare al Venue. Ma non avevo voglia. Volevo restare lucida per domani. Magari avrei scritto qualche frase di effetto, qualche domanda da proporre a Joshua. Stirare finti sorrisi davanti alla telecamera. Perché avrei potuto tirargli una scarpa dritta in faccia, e lasciargli l'impronta della suola, su quel viso che mi faceva perdere il barlume della ragione.

Ti odio, è ufficiale! Non ci credevo neanche a quei tempi, figurarsi ora.

Sentii un rintocco di nocche alla porta, ed andai ad aprire. Mi ero cambiata di vestito, mettendomene uno beige con lo scollo halter, dove parte della schiena restava nuda.

M'infilai l'orecchino, mentre spalancai la porta. Sicuramente era o Toby o Samuel. Forse per dirmi di domani.
Ma appena mi girai, trovai Joshua.
"Un arredamento adatto ad una spocchiosa" proclamò beffardo, prima di tornare su i miei occhi ridotti in due fessure.

Un Disastro DivertenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora