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Pov. Carlotta

Erano passati due giorni dall'intervista, con sorrisi finti che pungevano sulle guance come aghi, per restare immobili, mentre dentro gridavo. Due giorni dal suo video, che dovetti mio malgrado guardare, anche se solo da una telecamera, ma lo vidi. Il suo modo di cantare, la sua voce roca e cristallina. Il modo in cui ballavano le ragazze con lui, compresa Madison. Sempre più convinta che tra noi ci fosse un oceano immenso ed insormontabile a dividerci. Azzurri e buio come i nostri occhi. Troppo difficile risalire a galla. Avevamo toccato il fondale e rimasti senza ossigeno nella bomboletta.

Due giorni da quando era piombato prepotentemente in camera mia.
"Ti voglio ancora" le sue parole intriganti, piene di desiderio e verità che non volevo vedere, erano lì. Rimbombavano nella testa, su note sconosciute che arrivavano fino al cuore scalpitante.
Le sue mani che infondevano calore, stringevano i miei fianchi. Il mio corpo esigente rispondeva, la mia testa ometteva tutto ciò. Vittima di un'amore dolorante.

L'indomani saremmo partiti, fortunatamente. Per lasciare ciò che ci aveva ridato Barcellona. La luminosità negli occhi. E per lasciare ciò che ci divise, il cuore.
Saremmo andati a Londra.
Quindi decisi che oggi era il momento buono per ammirare il mare di Barcellona. Farmi un bagno per lavare via i pensieri, e lasciare che le onde li portassero lontano. Come quelle pergamene che arrotoli all'interno di una bottiglia di vetro, e lasci cadere nel mare. Perché quel mare è immenso. Contiene cose che non dirai mai a nessuno. Lui le conserverà, non le dirà a tutti. Sarà il vostro segreto eterno. Lui non infrange promesse, non illude. Lui ti culla.

Mi alzai svogliatamente, dal letto su cui avevo lasciato la forma permeata sul lenzuolo cipria a fiori. E le molle ringraziarono con un sospiro gracile.
Arrancai fino alla porta del bagno, passandomi una mano sul viso stanco ed accaldato. Chiedevo di dormire, ma il sonno mi dava contro. Mi voleva far restare con gli occhi aperti, per pensare a lui. Per assillarmi che di Joshua non mi libererò mai. Voleva tenermi incollata ad un soffitto, a vedere i giochi di luce che si formavano dalle persiane abbassate, come piccoli ovali lucenti, ed a sentire il rumore delle macchine che sfrecciavano, abbagliando ad intermittenza le pareti.

Poggiai i palmi sul lavabo di ceramica freddo, guardando il mio viso attraverso lo specchio quadrato. Decisamente la mummia di  Tutankhamon, aveva un cera migliore della mia. Le borse appena accennate sotto gli occhi. Le avrei coperte con il fondotinta, con del correttore. Ma non avrei coperto l'immenso vuoto che li lasciava asettici.

Entrai dentro il box doccia, sfilandomi la sottoveste. La stessa dove qualche giorno prima le sue mani avevano tolto per godere del mio corpo arreso a lui.
La lasciai cadere a terra, quasi dolorosa di riprenderla. Troppo pesante come ferro per tenerla addosso. Azionai il getto d'acqua, che cadde a fiotti dolci sul mio corpo.
Una lacrima si mischiò a quelle gocce.
Non accettavo che per lui quel mondo valesse più di ciò che eravamo noi. Non accettavo che trovava sempre scuse per tutto. Chiedevo solo sincerità. Ma forse era come chiedere la luna. Impossibile ed irraggiungibile.

Uscii dal box, asciugandomi i capelli. E quel calore dovuto all'asciugacapelli mi rianimava. Mi faceva sentire quella dolcezza sul collo, tanto quando il suo alito quando mi parlava troppo vicino, troppo difficile resistere.
Era un disastro per il mio cuore, ma per quanto era disastroso io ricadevo sempre.

Mi vestii con un abito rosa cipria lungo fin sopra le ginocchia, e delle ballerine.
Non mi soffermai a guardare Mr Wilson. Lui un sorriso lo aveva sempre. Lui ci credeva.
Aprii la porta con un cigolio, assicurandomi che la causa dei miei mali non fosse nelle vicinanze, e la richiusi con un tonfo debole.

I quadri moderni con tecniche del puntinismo, mi facevano strada verso l'ascensore, e quando le porte si aprirono ne fui felice di essere al sicuro tra quelle pareti fredde e solitarie come me.
Varcai la Hall, lasciando le chiavi alla reception ed avventurarmi nel calore di Barcellona, una volta che le porte scorrevoli di vetro si aprirono. Un dolce refolo di vento, m'investii. Ma mi beai di quel filo che tirava, sperando che tirasse su anche il mio umore.

Un Disastro DivertenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora