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Pov. Joshua

Avevo deciso di farle ripercorrere un po' del nostro inizio. O meglio, quel giorno dal quale iniziai a sentire i primi brividi strani e la prima gelosia verso di lei. Quel giorno che l'accompagnai alla festa di Callum, evitando il gioco della bottiglia ed altre scemenze. Volevo riportarla in una sera, un po' nel passato. Ed avrei sperato di riuscirci.

Quando la vidi scendere, bella e solare una voglia di assaggiarla si era impossessata di nuovo di me. Specialmente vederla appena uscita dalla doccia. Ricordavo ancora il suo corpo nudo, e avrei voluto rivederlo. Ma le sue parole sul correre troppo. Forse aveva ragione. Stavo sbagliando. Ma sentivo urgenza di lei. Volevo rubare i suoi ansimi in ogni nota e sfaccettatura. Se solo me l'avesse permesso. Avrei atteso pregustandomi quella notte che sarebbe stata di nuovo mia. Perché nel mio cuore già lo era da tempo. Un tatuaggio invisibile che solo noi potevamo vedere. E non sapeva il mio tatuaggio in realtà che cosa stesse a significare. Le dissi che era una semplice J di Joshua. Forse avrei dovuto dirglielo. Ma quanto ci frega la convinzione di avere molto tempo a disposizione?! Troppo. Perché poi infondo il tempo non basta mai. Viviamo la vita dicendo -lo farò domani, perché farlo oggi- ed avevo sbagliato tutto. Ma oggi non sarei vissuto con il rimpianto di non aver fatto tutto ciò che potevo per riportarla con me. Un viaggio temporale solo nella mente. Un po' più cresciuti ma gli stessi di sempre.

Si tenne stretta a me come se fossi un'ancora. Ed in effetti ero la sua salvezza, solo che doveva ricordarselo.
Il suo dolce profumo floreale, mi arrivava alle narici, inebriandomi grazie a quel filo di vento, dove i suoi capelli fuori dal casco, svolazzavano liberi per adagiarsi nuovamente sulla giacca di pelle nera che le diedi.
Le sue gambe che sfioravano dolcemente i miei fianchi. Feci scendere una mano, poggiandola sul suo ginocchio, al rosso del semaforo. Le diedi leggere carezze e sentii quanto il suo corpo reagisse positivamente sotto al mio contatto.

La guardai dallo specchietto, mordersi le labbra rosse e lucide, grazie al lucida labbra. I suoi occhi azzurri splendevano nel bagliore della notte. Erano tutte illuminate le vie di Barcellona, ma nessun led, nessuna insegna luminosa o lampione era minimamente paragonabile a quel luccichio speciale ed inconfondibile.
Ripartii vedendola stringersi ancora di più, e farmi provare gli stessi brividi di sempre. Premette la guancia contro il mio giubbotto, per poi salire dolcemente, e poggiare il mento sulla mia spalla, per guardare con occhi curiosi.

"Lì c'è un baracchino dei panini. Possiamo fermarci" m'indicò con l'indice il baracchino bianco, urlando per farsi sentire e sovrastare il rumore del vento, della musica che passava dalle radio delle varie macchine ed il loro sfrecciare.

"No, dobbiamo ripercorrere il passato. Stasera pizza" esclamai beffardo, vedendo il suo sguardo sbigottito dallo specchietto.

M'informai su TripAdvisor, quali pizzerie buone ci fossero a Barcellona. Ed ovviamente scelsi la migliore. La Buon Appetito.
Distava solo quindici minuti dall'hotel. Ed era in una via piena di pizzerie e ristoranti, e negozi illuminati ma chiusi a quell'ora.

Arrivammo, e parcheggia la moto nel posto apposta. Guardai Carlotta scendere. Provò a sganciarsi il gancetto del casco, e sorrisi a quella scena che mi riportò indietro nel tempo. Non aveva ancora imparato come si faceva.

"Ti serve una mano?" Domandai derisorio, innalzando un sopracciglio e passandomi una mano tra i capelli. Mentre sbruffò ed alzò gli occhi al cielo, vedendo un piccolo e dolce broncio formarsi sulla sua bocca. Tanto da renderla bella e adorabile. Dio! Era la mia piccola spocchiosa unica. Finché non si arrese e riportò il suo azzurro nel mio, ed annuire sconfitta.

Un Disastro DivertenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora