Capitolo 20

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Stava annegando. La corrente la trascinava giù, sempre più giù.

Rachel cercava di opporsi, ma era tutto vano, ormai era troppo tardi. L'acqua le era entrata nei polmoni. Istintivamente tossì, il suo corpo si ribellava, voleva vivere. Continuò a tossire, a buttare fuori l'acqua, fino a svegliarsi.

«Bentornata tra noi.»

Provò a muoversi, le mani erano legate dietro la schiena e le gambe alla sedia. Era la prima volta che si trovava faccia a faccia con Taylor Kingston, si era fatto crescere la barba ed era dimagrito, mentre aspettava, nell'ombra, di compiere il suo piano.

«Non sai quanto ho aspettato questo momento.» fu solo in quell'istante che Rachel vide il coltello, «Finalmente ci potremo divertire.»

«Vaffanculo.»

Non si accorse di essere stata colpita con un pugno finché non sentì il sapore del sangue sulle labbra.

«Tu non ti rendi conto... di quanto ho dovuto aspettare.»

Le passò il coltello sulla clavicola, esercitando una leggera pressione. Sarebbe stato facile per lui ucciderla, ma prima voleva divertirsi.

Rachel non gli avrebbe dato quella soddisfazione, non gli avrebbe chiesto di lasciarla vivere, non gli avrebbe mostrato la sua paura, la sua debolezza. Poteva colpirla quante volte voleva, ferirla con quel coltello, non avrebbe urlato, non avrebbe pianto.

«Perché?»

Se quella era la sua ora, voleva almeno delle risposte, anche se era quasi certa che non le avrebbe avute.

La bocca di Taylor Kingston si aprì, poi si contrasse in una smorfia di dolore. Le cadde addosso, il suo sangue caldo sulla pelle, un buco in fronte.

Rachel cercò nuovamente di liberarsi, i polsi le facevano male, erano legati troppo stretti. Poi sentì i passi, Abby aveva una macchina fotografica in mano, «Un sorriso per la stampa.» e l'accecò col flash.

Non le era mai piaciuta, ma mai avrebbe pensato che fosse capace di una cosa del genere. Con la sua aria spaurita, Abby li aveva manipolati sin dall'inizio. Rachel, A.J., forse persino Taylor Kingston. Erano solo dei burattini.

«Dove siamo?»

«Nel seminterrato dell'ospedale. Taylor è rimasto qui per tutto il tempo.» raccontò, «In attesa di ucciderti.»

Subito dopo averlo conosciuto, aveva capito che poteva fare al caso suo. L'aveva fatto scappare dall'ospedale psichiatrico e aveva lasciato che sfogasse i suoi istinti omicidi senza battere ciglio, in cambio della sua collaborazione. Si era rivelato un perfetto compagno di squadra, uccidendo Elinor poi Chloe e ferendo lei senza compromettere nessun organo vitale, proprio come gli aveva insegnato. Dopotutto le era dispiaciuto ucciderlo, ma lasciarlo vivere sarebbe stato troppo pericoloso. E la sua morte serviva al suo piano.

Ethan l'aveva scoperta. La gita a Somerville non era stato un completo fallimento, come aveva sperato. I genitori di Elinor Benett avevano riconosciuto una sua fotografia, lei e Elinor erano coinquiline, ma per fortuna Ethan aveva pensato bene di parlarne prima con lei. Così l'aveva portato nel seminterrato con la scusa di raccontargli tutta la verità e Taylor aveva fatto il resto.

Lo sollevò di peso e gli accarezzò i capelli, «Eravamo una bella squadra.»

«Perché l'hai ucciso?»

«Ti sbagli. Tu l'hai ucciso.» Rachel riconobbe la propria pistola a terra, Abby indossava dei guanti di lattice, «Lui ti aveva accoltellato...» raccolse il coltello da terra e la pugnalò, senza esitare, senza distogliere mai lo sguardo dal suo.

«Tu gli hai sparato per difenderti, ma ormai era troppo tardi. E sei morta dissanguata.»

Il coltello cadde nuovamente a terra.

Stava succedendo davvero. Abby avrebbe vinto, solo A.J. era in grado di salvarla se fosse arrivato in tempo. Ma come poteva sperare nel suo aiuto, quando per prima aveva dubitato di lui?

«Leon...»

«Lo stanno operando. Forse si sveglierà, forse no.» rispose Abby scrollando le spalle, «In ogni caso mi prenderò cura io di lui durante la convalescenza, proprio come mi sto prendendo cura di Ethan. Il tuo vecchio amico non si sveglierà mai più, ma a te cosa importa? Ti sei sempre interessata solo a te stessa, da brava ragazzina ricca e viziata, in crisi col mondo perché i tuoi genitori avevano divorziato. Sai che dramma!»

«Se fossi stata cresciuta dalla mia vera madre tutto questo non sarebbe successo!»

Quante volte l'aveva rinfacciato a Julie? Non voleva ferirla, voleva solo essere lasciata in pace, voleva farsi sempre più piccola, fino a scomparire.

«Hai sparato a Oliver e ci ha pensato il paparino a sistemare le cose. Sei rimasta impunita, per tutti questi anni.» Abby le scattò un'altra foto, «Quando vedrà queste foto, si riprenderà, ne sono sicura. Quando saprà che l'ho vendicato.»

«Conosci Oliver?»

«Ero la sua ragazza, prima che arrivassi tu.» si sfilò i guanti, poi scatto un'ultima foto come pegno d'amore.

Quando li aveva visti insieme, non poteva credere ai suoi occhi, Oliver l'aveva lasciata per una ragazzina ricca che andava in una scuola privata. Poi era finita com'era finita. Oliver era stato ricoverato nell'ospedale dove Abby stava facendo il tirocinio come infermiera e lei lo interpretò come un segno del destino.

Immobile su quella sedia a rotelle dove ogni giorno lo faceva sedere, era così bello. Ed era suo. Tutto suo.

Non aveva mai detto una parola comprensibile in sua presenza. Ma l'aveva riconosciuta, gliel'aveva letto negli occhi. Era contento che fosse lei a prendersi cura di lui. Non l'avrebbe mai tradito, come invece aveva fatto Phoebe.

Abby se ne andò e il tempo scorreva lento, mentre le palpebre di Rachel si facevano pesanti. Sentiva freddo. E sonno. E voglia di urlare. Ma non emise un suono. Ormai era troppo tardi.

L'acqua era fredda. E c'era buio. E aveva paura.

Rachel lasciò che l'acqua le riempisse i polmoni e che la corrente la trascinasse giù, sempre più giù.

La ragazza dagli occhi di ghiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora