Capitolo 35

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Una volta, da Starbucks, aveva detto di chiamarsi Phoebe, solo per sapere che effetto faceva avere quel nome scritto sul bicchiere di cartone da portare via, che effetto faceva essere un'altra persona, così simile e così diversa.

Poi c'era stata l'altra volta, un ragazzo le aveva offerto da bere in un bar e lei si era presentata come Rachel. Lui aveva continuato a chiamarla così per tutta la sera, il mattino dopo June stava per rovinare tutto, ma Iris era riuscita a liquidarlo prima di essere scoperta. Ogni tanto le mandava qualche messaggio sul cellulare chiamandola col nome di sua sorella. Iris non aveva mai risposto.

Cheryl Howe doveva aver trovato il biglietto che le aveva lasciato, stava discutendo animatamente con una donna sulla cinquantina, dall'aspetto molto curato. Doveva essere Paige Turner, magrissima, i vestiti costosi indicavano che svolgeva un lavoro importante. Sembrava stessero litigando, ma da dove si trovava, Iris non riusciva a sentire una sola parola.

Venne distratta dalla vibrazione del cellulare, era un messaggio di A.J..

Vediamoci al vecchio appartamento di Rachel.

Poi un altro messaggio, questa volta era di Cooper.

Rispondi al telefono. Dobbiamo parlare.

Le fece uno strano effetto ricevere quei due messaggi quasi contemporaneamente. Aveva sempre pensato a Cooper e a A.J. come relegati a due realtà parallele. I suoi due mondi si stavano scontrando.

Rimase a fissare lo schermo del cellulare, indecisa se rispondere o meno. Il telefono smise di vibrare. Aspettò che sullo schermo apparisse la scritta: Una chiamata senza risposta.

Iris stava per mettere via il cellulare, quando vibrò di nuovo. Un altro messaggio, Cooper non aveva nessuna intenzione di arrendersi questa volta.

Sono stato a casa tua, ho visto la tua stanza. Decidi tu: o ne parli con me o ne parli con tua madre.

Non era sicura che Cooper avrebbe attuato quella minaccia, ma non voleva correre il rischio e lo richiamò subito.

«Finalmente.» fece lui, «Iris, sono preoccupato per te.»

«Chi ti ha fatto entrare in casa mia?» domandò lei mantenendo un tono di voce distaccato.

«June.»

La sua coinquilina era l'unica a sapere di Cooper, anche se non era un buon motivo per lasciarlo entrare in camera sua e lasciargli vedere le foto che aveva appeso sul muro sopra la scrivania.

«Promettimi che non ne farai parola con mia madre.»

«Non posso prometterti una cosa del genere, tu hai passato il limite, Iris. Hai letto i rapporti della polizia, hai visto le foto dell'autopsia di tua sorella.»

Cosa credeva? Che fosse stato facile per lei leggere quei rapporti senza poterne discuterne con nessuno, senza poter chiedere alcuna spiegazione? O guardare quelle fotografie - gli ingrandimenti - da sola? Quelle parole, quelle immagini le erano entrate dentro e non se ne sarebbe liberata mai più.

Donna caucasica di ventotto anni, un metro e settanta, arrivata in ospedale priva di conoscenza.

Quando aveva trovato il rapporto delle autopsie, ben nascosti a casa di sua madre, aveva telefonato a Cooper per parlarne insieme, era con lui che avrebbe voluto intraprendere quel viaggio a Westwood, ma lui non aveva mai risposto.

«Ho visto cosa Taylor Kingston ha fatto a mia sorella, i segni della corda intorno ai polsi. Nessun segno di lotta. Non credi che, se avesse avuto una mano libera per sparargli, Phoebe avrebbe cercato di difendersi? Che avrebbe avuto, che ne so, un'unghia spezzata? »

La ragazza dagli occhi di ghiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora