7-Preferire il silenzio alle parole

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Steven's pov

Volo per le strade di Chicago. Schivo palazzi costellati di luci accese mentre le poche persone affacciate in balcone mi guardano incuriosite.

Mi sono vestito velocemente con un paio di jeans e una t-shirt qualsiasi poggiata sulla sedia della mia scrivania. Guardandola noto anche di averla messa al contrario, sarà per questo che l'etichetta svolazza libera colpendomi il retro del collo a intervalli regolari.

In ogni caso, a proposito di t-shirt, non ringrazierò mai abbastanza Liam per aver recuperato il mio zaino dal carcere prima di scappare a gambe levate.

È ancora notte fonda, e la maggior parte delle strade di Chicago sono deserte.
Mi manca la mia New York, la mia città che non dorme mai. Chicago sembra spenta adesso, anche se fra poche ore si risveglierà, giusto in tempo per aprire negozi e prepararsi ad una nuova giornata.

La mia New York è sempre sfavillante e vitale. Senza volerlo mi ritrovavo a perdere la cognizione del tempo e mi chiedevo come mi fossi ritrovato a camminare nel bel mezzo di Times Square nel vortice della notte. A mezzanotte c'erano così tante luci favillanti ,tra cartelloni pubblicitari e palazzi illuminati, che quasi mi chiedevo se fossi addirittura io a sprigionarle.
Ho sempre pensato che proprio grazie a tutte quelle luci e quella vita per cui non esiste la parola stop, New York City fosse perfetta per gli appuntamenti romantici.

A me non ne è mai andato bene uno, nonostante l'atmosfera perfetta.

In ogni caso, ora, qui a Chicago, solo io gironzolo tra I tetti dei palazzi, ho visto giusto due o tre ubriachi girovagare per qualche vicolo buio e una ragazza vestita in modo talmente improponibile che se mia sorella si svestisse così la rinchiuderei in un castello con tanto di drago sputa fuoco dopo averla trasformata in orchessa. Ma oltre questi individui c'è il mortorio più completo.

Non sento altro che il fischio del vento, sempre se non passo accanto ai night club o accanto ad una delle numerose ambulanze che passano continuamente, svegliando I vecchietti più curiosi.

Arrivo quasi subito a casa di Soraya, sempre se questo sia il suo nome.

Sono arrivato qui senza neanche pensare al tragitto che ho fatto. Come se il mio corpo già sappia quale sia la strada giusta.
Mi sono accorto solo adesso di essere a destinazione in realtà.

"Okay..e ora che cosa faccio?" Mi chiedo da solo grattandomi la nuca spettinata. Chissà in che stato sono I miei capelli.

Non mi sembra il momento adatto per pensare al nido d'uccelli che ritrovi in testa, Steven.

Okay, accendiamo il cervello alla spina e ragioniamo. Da quanto ho capito, Soraya vive coi suoi fratelli e quindi non posso certo suonare il campanello svegliando tutti. Non posso nemmeno bussare.
Mi potrei introdurre da una delle finestre..se non fossero tutte sigillate.

Controllo ogni finestra e ogni porta almeno due volte per assicurarmi che siano davvero chiuse..e non trovo nemmeno un piccolo spiraglio.
Sbircio anche all'interno della casa, ma vedo solo quattro bambine che dormono profondamente e poi solo tende chiuse. Tra l'altro di pessimo gusto.

"Oh, fantastico Steven! Sei venuto fino a qui e poi non sai che fare!" Mi complimento da solo mollandomi un ceffone sulla fronte.

"Ahi! Che cretino!" Mi massaggio la parte che mi sono colpito da solo.

"Non potrei essere più d'accordo"

"Ah!" Mi spavento per l'ennesima volta in quella giornata strana. Morirò d'infarto entro il sorgere del sole, me lo sento "C'è qualcuno?" Chiedo scrutando il buio intorno ai cassonetti della spazzatura sul lato sinistro della casa.

Strangers or not?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora