Capitolo 6. Il cucciolo di drago - Parte Prima

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«Più che calda, direi gelida. Quello è un drago bianco» sussurrò Spock alle spalle dei compagni. «È un cucciolo, ma sanno essere molto aggressivi anche da piccoli. Non fate movimenti bruschi, potrebbe attaccare noi o mettere in pericolo il bambino.»

Gli altri annuirono, iniziando a muoversi dentro la sala a passi leggeri, per riuscire ad entrarvi tutti. Il drago però non sembrava più interessato ai nuovi arrivati. Era concentrato sul piccolo Timmy che, seduto sul tavolo accanto a lui, lo fissava in un misto di curiosità e preoccupazione.

Il cucciolo era poco più grande del bambino, completamente bianco, ricoperto di minute e lucide scaglie in tutto il corpo e con una cresta non ancora completamente formata che partiva dalle tempie e scendeva lungo la schiena, fermandosi all'attaccatura delle ali. Queste ultime erano perfettamente sviluppate, anche se di dimensioni ridotte, già adatte a sostenerne il peso in volo. Anche la lunga coda, posata intorno al corpo del piccolo, era ricoperta di squame completamente bianche.

Era ancora giovane, ma già si intuiva la pericolosa maestosità che avrebbe guadagnato con la crescita; le sue zanne affilate, seppur in miniatura, scattavano, mentre il cucciolo soppesava attentamente quella che presto sarebbe diventata la sua preda.

Entrando nella stanza, Jake si sorprese a fissare quella creatura che pareva essersi materializzata davanti ai loro occhi direttamente dalle leggende. Nessuno vedeva un drago da millenni e gli ultimi era semplicemente scomparsi dalla terra, emigrati al di là dello strato di nembi quando la guerra per il dominio del mondo conosciuto si era conclusa con la vittoria delle razza più giovani. Come Spock, anche il ranger aveva qualche nozione sugli antichi abitanti di Irvania e sapeva che, al tempo in cui i draghi ancora calcavano il suolo liberamente, la razza dalle scaglie bianche era tra le più aggressive e pericolose che il mondo conoscesse.

Come il cucciolo fosse arrivato fino a quella sala era un mistero, uno di quelli che probabilmente avrebbe tenuto svegli molti storici e amanti di leggende e magia; ma per lui al momento era un problema quasi secondario, che sfumava davanti alla minaccia che il drago rappresentava per loro e soprattutto per il bambino.

Gli occhi azzurri, glaciali e penetranti della creatura incrociarono solo un istante i suoi, prima di riprendere a vagare tra il cucciolo di umano e un'altra figura accucciata al muro, che fu visibile solo quando il gruppo entrò dalla porta.

Si trattava di un coboldo, una creatura dell'altezza di CJ, con il muso allungato molto simile a quello del piccolo drago, la pelle squamosa e due corna accennate sulla testa. Del drago però pareva avere solo il muso, perché nulla della potenza della candida creatura era ritrovabile su quel minuto essere tremolante, che quando entrarono posò per una frazione di secondo i suoi occhietti gialli su di loro, prima di accucciarsi tremante nel suo cantuccio.

«Un drago?» mormorò Daniel riprendendo a fissare il drago e mettendo in secondo piano la creatura poco interessante che aveva appena adocchiato. Mosse un altro passo adagio nella stanza e iniziò pian piano a prendere coscienza della realtà di quella leggenda in carne e squame. «Pensavo fossero estinti. Credevo...» Sospirò, scuotendo la testa come se non riuscisse a credere a ciò che aveva davanti agli occhi. E forse era davvero così, forse si aspettava che quella visione svanisse da un momento all'altro. «Credevo fossero scomparsi» bisbigliò poco dopo, in tono affascinato.

«Lo credevamo tutti.» Fu l'unico commento appena mormorato da Galatea.

«Cosa ci fa un drago qui dentro? Pensavo stessero nelle fiabe» bisbigliò CJ, sorpreso da quella visione.

«Sembra che sia stato fatto prigioniero. E che non abbia apprezzato» sussurrò in risposta Jord, lasciando vagare lo sguardo per la stanza.

Intorno al tavolo su cui sedevano i due cuccioli regnava il disordine più totale: le pareti laterali erano nascoste da grandi librerie di legno massiccio ormai in decadimento, in parte ancora piene, in parte svuotate, il contenuto riverso sul pavimento e ridotto in frammenti cartacei. Oltre, sul lato opposto all'entrata, si scorgeva una gabbia di metallo ricolma di resti, alta a sufficienza per contenere un uomo ritto in piedi. Era stata divelta, e non fu difficile per il gruppo capire chi ne fosse stato l'inquilino; il piccolo drago doveva aver trovato il modo di liberarsi e probabilmente non era stato un modo molto pacifico, a giudicare dai frammenti congelati della porta, sparsi per tutta la stanza. Le poche torce accese, fissate a sostegni a muro, mettevano in evidenza altri segni del soffio del drago, sopra le librerie e intorno al tavolo in cui sostava: grosse chiazze ghiacciate, troppo spesse per sciogliersi rapidamente a contatto con l'aria calda.

Le Fiamme di Dóiteáin - Cronache di Irvania IDove le storie prendono vita. Scoprilo ora