Capitolo 5. Il piacere è tutto mio - Parte Seconda

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La seconda giornata di cammino terminò appena gli ultimi raggi di sole allentarono la loro presa su Irvania, lasciando posto alla notte e alle stelle; un'altra radura attendeva i viaggiatori poco oltre il margine di una folta foresta di querce, più modesta della precedente, ma anch'essa percorsa dai segni dei precedenti mercanti.

Come il giorno prima, una volta allestito il campo il gruppo si riunì intorno al fuoco, ma questa volta nessuna bottiglia di sidro passò tra le mani, e la voce morbida di Carthana non si levò a sovrastare il crepitio del fuoco e le chiacchiere leggere.

La donna era assorta nei suoi pensieri, troppo distratta per dedicare più di qualche cenno cortese a chi la interpellava; le parole che il marito scambiava con gli avventurieri erano per lei solo un sottofondo leggero, mentre il suo sguardo si spostava di continuo dalla figlia al giovane nobile, che quel giorno sedeva stranamente lontano, separato da Annah dai corpi dei suoi compagni. Eppure aveva colto i due cercarsi, attraverso le sottili spire di fuoco; i loro occhi vagavano irrequieti per il campo, si fermavano sugli altri membri della carovana, poi tornavano a incontrarsi, come per caso, e faticavano a lasciarsi andare. Se il ragazzo mascherava bene quell'atteggiamento, nascondendolo dietro a battute simpatiche e osservazioni perspicaci portate a favore di una o dell'altra tesi discussa dagli altri, Annah non riusciva a fare lo stesso.

Carthana l'aveva notata subito, appena si era accomodate accanto al fuoco, e anche ora, seduta davanti a lei, la figlia continuava ad alzare lo sguardo in cerca di quello di lui, incapace di mantenere il contegno che la madre aveva cercato di insegnarle fino a quel momento.

Seppure più cauto, neanche lo sguardo di lui le era sfuggito, e lo stesso era stato per le guance della figlia che si imporporavano quando lui posava gli occhi su di lei, o per il volto che le si illuminava di una luce nuova, e preoccupante.

"Cosa stai combinando, figlia mia?" si chiese la donna, vedendola sorridere di sfuggita a una nuova occhiata del mezz'elfo.

Temeva per Annah più di quanto avrebbe desiderato, o di quanto avrebbe ritenuto normale. Si chiese perché quello scambio di sguardi innocenti la turbasse tanto e infine fu costretta ad ammettere che dipendeva dal fatto che, nella figlia, rivedeva se stessa; la ragazza appassionata che il giorno prima aveva lasciato emergere alla richiesta del marito, e che ora era tornata stretta sotto il controllo dell'etichetta che si era auto-imposta, era rintracciabile nel comportamento di Annah, nei suoi gesti, nei desideri che le vedeva dipinti in volto. Erano gli stessi che aveva provato anche lei molti anni or sono, quando ancora era giovane, e libera, e sognava di vivere intensamente delle sue storie.

Ma era bastata Viandola, con le sue rigide norme sociali, a metter fine a quei sogni di libertà che l'avevano caratterizzata, e la città avrebbe fatto lo stesso con sua figlia; perché, dopo tanti anni da donna sposata, Carthana aveva infine capito che solo le donne realmente fortunate potevano decidere del loro destino. O quelle abbastanza forti da accettare le conseguenze delle loro scelte.

«Madre, posso ritirarmi per dormire? Ho sonno!» la voce lamentosa di Nor la riscosse. Il figlio le stringeva un bordo della veste, e la guardava con gli occhi lucidi e impastati per la stanchezza.

«Certo» gli disse piano, per non disturbare la discussione che procedeva attorno al fuoco «siamo tutti molto stanchi, tesoro. Inizia ad entrare nel carro, ti raggiungiamo presto».

«Va bene, madre». Il piccolo sbadigliò, poi raggiunse il padre per farsi dare la buona notte.

«Credo che dovremo seguire tutti l'esempio del piccolo Nor» suggerì Jake quando il bambino li lasciò per avviarsi al carro. «Domani ci attende un'altra giornata di marcia, ed è meglio essere in forma».

Le Fiamme di Dóiteáin - Cronache di Irvania IDove le storie prendono vita. Scoprilo ora