Capitolo 13. Mandare i nemici a gambe all'aria - Parte Seconda

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Il vecchio non aveva menzionato alcun tappetto, così come aveva scordato di avvisare che il corridoio sarebbe stato completamente al buio. Motivo per cui, dopo aver accarezzato la serratura con grazia e fatto scivolare dolcemente la porta del retro, penetrando con familiare leggerezza nella stanza, CJ aveva concluso l'operazione rovinando a terra con più di un'imprecazione colorita rivolta alla madre di tutti gli halfling, nonché presumibilmente all'intero pantheon venerato a Unea.

Aveva risparmiato Lerov solo perché era anziano, e perché un po' gli ricordava la sua vecchia nonna, almeno come livello di rimbambitaggine, altrimenti anche lui avrebbe sentito fischiare notevolmente le orecchie.

Anche se, questo dovette riconoscerlo, le due coincidenze prese insieme gli avevano appena impedito di infilzare il pugnale nella carne di un'anziana che, sotto la luce proveniente dalla soglia aperta, era identificabile con buona sicurezza come la moglie di Lerov, anche se più per la semplicità dell'abbigliamento e l'assenza di simboli sacri e armi che per altro.

Mentre si rialzava ponendo fine alla rosa di improperi, CJ vide i compagni sull'uscio osservare con sconcerto la povera donna riversa a terra, preda della forza magica dell'incantesimo scagliato dal loro chierico. Poi udì il sibilo di una freccia che fendeva l'aria al piano di sopra, e colpiva un bersaglio di carne e sangue, del quale distinse chiaramente le urla di dolore. Con uno scatto, il piccolo ladro si lanciò verso le scale alla sua destra, lasciando l'anziana alle cure del chierico e precedendo di appena un secondo il guerriero e lo stregone, il primo con già lo spadone in pugno, e il secondo che iniziava a mormorare parole intrise di potere.

Con un brivido di eccitazione, CJ saltò su per i gradini, venendo però presto superato dalle falcate decise di Ben. Giunse in un corridoio e notò il compagno voltare verso una porta laterale, dalla quale provenivano altre grida e un singhiozzo disperato. Vi si diresse senza indugio, concedendosi un'altra imprecazione quando anche lo stregone lo superò, e maledicendo per la prima volta nella sua vita il fatto di essere corto e poco scattante.

Il combattimento nella bottega l'aveva caricato di furore e adrenalina, ma era riuscito a sfogare entrambe solo in parte, accontentandosi di dare supporto ai compagni e ammirando l'opera rapida e precisa dello spadone, che li aveva salvati da quella che non faticava a definire una morte certa. E l'ingresso nella casa, che sarebbe dovuto essere il suo momento di gloria, era un capitolo da dimenticare, almeno per quanto gli concerneva.

Quando arrivò alla stanza dunque, la prima cosa che pensò fu come rifarsi, spaziando velocemente con lo sguardo alla ricerca di un obbiettivo che risollevasse la sua autostima. Davanti a lui, Ben fronteggiava un uomo abbigliato con una mezza armatura, con una fascia scarlatta in vita, e la lama dello spadone strideva, a contatto con l'ascia del suo avversario. A un lato, due bambini in abiti da notte si stringevano l'un l'altro sul letto, gli occhi sgranati e terrorizzati puntati su un'altra figura rosso-vestita, riversa a terra con due frecce a deturparne la carne.

Non ebbe dubbi a riconoscerne il possessore, anche perché il ranger era visibile dall'unica finestra, sporto oltre la fenditura dell'edificio di fronte e con l'arco teso, puntato verso Ben e il suo avversario in cerca di uno spiraglio dal quale scoccare ancora.

Lo stregone era fermo sulla soglia, e recitava l'ultima parola di un incantesimo.

Rivalutando la fortuna di essere basso e agile, CJ si infilò tra lui e il muro, penetrando nella stanza in tempo per vedere un dardo sfrigolare e impattare contro il nemico, strappandogli un sussulto e distraendolo dal combattimento.

Ben approfittò di quell'attimo per farsi largo con lo spadone, puntando alla pelle scoperta dell'avversario. Con sconcerto, e con una punta di orgoglioso sollievo che difficilmente avrebbe ammesso in seguito, CJ vide l'uomo armato d'ascia riprendersi prima del previsto, e riuscire a parere il colpo con forza sufficiente ad allontanare lo spadone, sbilanciando il suo possessore.

Fu lì che l'halfling decise di agire, muovendosi con misurata e silenziosa velocità verso il suo nemico e giungendo alle sue spalle con il fedele stocco già stretto in pugno. Da quella posizione, studiare il corpo avversario in cerca di punti deboli fu una passeggiata, e qualche secondo dopo, con la soddisfazione impressa sotto i baffi appena arruffati, estraeva la sottile lama insanguinata dalla gamba, accompagnato dall'ultimo urlo che il possessore dell'arteria recisa avrebbe mai pronunciato.

Le Fiamme di Dóiteáin - Cronache di Irvania IDove le storie prendono vita. Scoprilo ora