Capitolo 8. Porte chiuse - Parte Seconda

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L'entrata nella sala del giovane cameriere, leggermente storto sotto il peso di tre vassoi colmi di grosse fette di formaggio, pane appena sfornato, e brocche e bicchieri per il latte, distrasse del tutto la loro attenzione dal mezz'elfo e dalla sua irritazione. Il ragazzo li raggiunse trafelato, e posò con cura i vassoi sul tavolo, accingendosi a distribuire stoviglie e alimenti; poi, svuotati i larghi piatti in legno, li salutò con un inchino rapido e si allontanò, per sparire nuovamente dietro il bancone.

Galatea si sforzò di non incrociarne lo sguardo, mentre questi lasciava il tavolo, in parte per mantenere l'aria altezzosa che si era creata, in parte per timore di trovarvi quell'espressione desolata che, sapeva perfettamente, compariva sempre sul volto del destinatario della sua freddezza e della sua acidità. Un'arma che, a dirla tutta, le diventava di giorno in giorno sempre più dura da impugnare, con gli estranei ma soprattutto con i compagni di viaggio, che in varie occasioni le avevano dimostrato di averla accolta in quel gruppo improvvisato, nonostante tutto. 

La punta di dispiacere per il suo comportamento altero però, svanì appena gli uomini attorno a lei assaltarono rudemente la colazione, versando il contenuto delle brocche nei cocci, e in parte nel tavolo sottostante, immergendo il pane croccante nel latte, e condendo nel frattempo il legno di schizzi e di frammenti di formaggio, afferrato per accompagnare gli altri due alimenti. Li fissò con sconcerto, ancora incapace di abituarsi alle loro maniere grezze, e l'unica consolazione le venne dal constatare come il modo di mangiare dei quattro uomini, che in quel momento per altro biascicavano a bocca piena tra un morso e l'altro, variasse nettamente rispetto al contegno misurato del mezz'elfo, l'unico che pareva prestare attenzione a non sbriciolarsi l'abito o a non riversare gocce candite e pezzi di formaggio sul legno sbeccato. Il solo inoltre a dar segno di non voler parlare, finché non avesse terminato il boccone corrente.

L'elfa sbuffò sonoramente, seccata da quello spettacolo ma soprattutto dall'aver trovato, anche solo per una frazione di istante, un lato positivo in quel mezz'elfo arrogante e saccente, per il quale aveva provato fastidio, e una punta lancinante di gelosia, quasi dal primo momento in cui si erano incontrati. Sapeva di invidiargli la spontaneità e la schiettezza, ma anche e soprattutto la lucida padronanza delle doti magiche, che lei ancora faticava a controllare nei momenti di maggiore pericolo. Per smettere di pensare a Daniel, allungò la mano su una delle poche pagnotte sopravvissute alla razzia e si versò con l'altra un po' di latte in un bicchiere, unendosi, suo malgrado, alla compagnia affamata.

Mentre sorseggiava adagio dal coccio colmo per metà, si trovò a chiedersi, per l'ennesima volta, per quale motivo continuasse a viaggiare con quegli uomini e quel mezz'elfo che a malapena sopportava. Li osservò, mentre ridevano a bocca piena e si schernivano a vicenda, all'apparenza dimentichi della delusione cocente del giorno prima, la stessa che li aveva spinti a ritirarsi nelle rispettive stanze senza una battuta, o un sorriso. E mentre li guardava, dovette ammettere a se stessa di trovarsi lì, in quel tavolo sporco e chiassoso, soprattutto a causa di due sentimenti preponderanti.

Il primo, era la dolorosa sensazione di solitudine che l'aveva ghermita, da quando aveva lasciato il tetto arboreo familiare e confortante di Deirfiúr. Perché, se prima di abbandonare la sua casa era stata convinta di essere più che pronta a viaggiare per il mondo da sola, l'incontro con il mezz'elfo e l'umano, avvenuto qualche settimana dopo, aveva messo in ombra tutti i giorni precedenti, mostrandole con brillante chiarezza quanto avesse odiato camminare da sola, senza avere nessuno accanto con cui condividere i pensieri, o semplicemente da poter ascoltare.

E il secondo, forse ancora più stringente e determinante, era quel miscuglio di paura e voglia di mettersi alla prova, che continuava a spingere proprio lì, alla bocca del suo stomaco, ogni volta che pensava a quanto sarebbe stato semplice lasciarli, soprattutto in una città frequentata come Riverwood, per cercare qualche altra compagnia con la quale muoversi.

Le Fiamme di Dóiteáin - Cronache di Irvania IDove le storie prendono vita. Scoprilo ora