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"...Semplicemente vivi."
Chiudo 'io prima di te' e lo rimetto nel suo esatto posto nella libreria. Sono abbastanza fissata su certe cose, soprattutto se si tratta dei miei libri.

Mi alzo con moltissima voglia dal mio caldo letto e guardo l'ora: 4.27 AM:
Brava Erica sei riuscita anche oggi a rovinati una stupenda e lunga nottata di sonno.

Molto lentamente e trascinando i piedi confinati nelle mie bellissime calze antiscivolo rosa con la faccia di un panda, striscio fino al bagno. Accendo la luce e cerco di non girarmi verso lo specchio per non vedere la Cara Delavigne che sono in questo momento, faccio quello che dovevo fare per poi tornare nel mio caldo letto preriscaldato che dice
"Hey ti sto aspettando"
e, bhe da brava malata mentale quale sono, mi rispondo pure da sola dicendo "arrivo" non prima di sbattere la testa sulla maledetta trave di legno troppo bassa anche per una alta 1.50. Cioè io.

"E VALENTINO ROSSI VA A VINCERE A MISANO, TUTTI IN PIEDI SUL DIVANO, ROSSI C'È. ROSSI C'È. ROSSI *PAPARAPARAPARAPARAPARAAA*"

Il mio occhio sinistro si apre svelando il mistero del suono sconosciuto fra le bellissime parole di Guido Meda.
La sveglia.
Sono le Sette.

"Fanculo".

Ormai è da quando ho scoperto la dura vita da studentessa che é la prima e l'unica parola quando mi sveglio tutte le mattine, é diventato tipo un rito di buongiorno.
'Buon' si fa per dire ovviamente.

Come al solito ritardo la sveglia e ringrazio mentalmente Steve Jobs per il tasto 'ritarda' dell'iPhone.

7.05 *PAPARAPARAPARAPARAPARAAA*
Ritarda.

7.10
* PAPARAPARAPARAPARAPARAAA*
Ritarda.

7.15
* PAPARAPARAPARAPARAPARAAA*
Spegni.

Occhio sinistro: c'è.
Occhio destro: si insomma.

"ERICA ALZATI SONO LE 7.30" wtf (?)
"fanculo" sospiro.
"IL CAFFÈ È PRONTO"
Faccio un verso strano e mi copro fin sopra la testa un po' per non vedere la luce che arriva da quella maledetta finestra e un po' per cercare di ovattare le grida di mia madre.

Uscire dalle coperte del letto è sempre stato terribile per me, che reputo il dormire la cosa più sacra, per questo faccio tutta questa fatica, soprattutto adesso che siamo a dicembre, e cazzo se fa freddo.
È un vero e proprio trauma che non supererò mai.

Calzine sexy, pigiama con la stessa faccia del panda delle calze (lo stile non va a pile) e faccia da hodormitosolodueoreetrentatreminuti mi accompagnano fino all'armadio da dove tiro fuori i miei mitici leggins grigio topo invernali e una felpa bordeaux con scritto "i'm too tired. DON'T TALK TO ME."
Azzeccatissima e ultima, ma non per imoortanza chiaramente, la canotierina termica da ottantenne.

Mi metto il tutto insieme alle calze, gialle, appena deciso.
Mi diverto a mettere di colori completamente diversi da tutto quello che indosso.

Affronto il freddo viaggio fino alla cucina: scale, corridoio e scivolata tattica con quasi frattura del coccigie.
Risata di Satana, cioè volevo dire, di mia madre e Palm-face di mio fratello maggiore Leo, seguono il mio dolore al culo.

"Ma come hai fatto a vivere per diciannove anni".
Simpatica, madre.

"Diciotto, diciotto anni."
Mi alzo con la strssa grazia di Dumbo e mi siedo sul mio sgabello arancione accanto a Leo, sbuffando.
Sono già stanca di questa giornata.

Sulla tovaglietta di plastica azzurra con Pisolo di quattrocento anni, trovo già piena della bevanda magica, chiamata caffè dai babbani, la tazza rossa che mi ha regalato la zia poco tempo fa, alla quale aggiungo un goccio di latte e una zolletta di zucchero.
Perché una zolletta? Bhe mia madre é una psicopatica, la sua vita è pulire e far felice mio fratello, ma soprattutto pulire. Compra solo zollette di zucchero perché così io non posso mandare granelli di zucchero in giro facendo pasticci come faccio sempre.

É sempre per la sua poca sanitá mentale che sono caduta prima, il pavimento era bagnato perché aveva appena lavato.
Alle sette di mattina.

Mentre Leo, che non era ancora vestito, va a prepararsi, Madre mi informa di tutte le cose che dovrò fare oggi visto che lei lavorerà fino alle cinque di stasera, il che si riassume in una sola parola:
'Sfruttamento'.

Sono le 7.59 quando salgo in macchina con BB.
È così che chiamo Leo da quando sono piccola, significa 'Big Brother' l'ho inventato io a quattro anni, dice mamma, perché non riuscivo a dire 'brother'.

Ci siamo trasferiti quando ero ancora piccola dall'Italia.
A mia madre è sempre piaciuta l'Inghilterra e dopo che suo marito l'ha mollata perché "No un altro figlio no, sono ancora troppo giovane"
(40 anni amici), ha deciso di spostarsi e portarci con sé.
L'italiano lo parlo perfettamente e amo le mie origini, d'estate ci andiamo sempre in vacanza, ma quando sarò indipendente ho intenzione di girare ogni città e paese che vale la pena essere visto.

La mancanza di un padre non mi è stata fatta pesare neanche un po': mio fratello Leo ha sempre avuto il ruolo maschile portante della famiglia, è molto più di un fratello maggiore per me e so per certo che se non ci fosse stato lui, mamma sarebbe diversa ora, ma soprattutto io chissà dove sarei adesso.

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