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SHAWN'S POV CAPITOLO 33

Dopo aver visto Erica spingere per la seconda volta Dylan ho capito che qualcosa non andava.

Melanie sta ancora parlando di non so quale altra sua qualità, a detta sua, ma io ho già deciso di cominciare a camminare nella loro direzione per raggiungerli.

A poco più di un paio di metri dai due ragazzi litiganti vedo la divertentissima scena del pugno sul naso e sorrido: era ora che qualcuno picchiasse Dylan, e se a farlo è stata una ragazza, anche meglio.

Già la ginocchiata, anche solo a vederla, ha fatto male, figuriamoci un cazzotto del genere dritto sul naso.
Ben gli sta.

Quando sono abbastanza vicino appoggio una mano sulla spalla coperta dalla felpa di Erica.
Sta tremando e sono abbastanza sicuro che la causa non sia il freddo.

Chiedo spiegazioni e, non ricevendole, insisto.

Dylan è per terra perché lei lo ha picchiato per un non so quale motivo, ma sicuramente non è stato a caso.
Lui le aveva fatto qualcosa che, a giudicare dalla reazione, l'aveva spaventata e fatta incazzare e non poco, e pretendevo di saperlo.

"Quindi?!"
Allungo entrambe le braccia verso di loro e capisco troppo tardi di aver alzato forse un po' troppo la voce.

Erica mi guarda, per la prima volta da quando sono arrivato, e il suo sguardo è tutt'altro che amichevole.

"Niente Shawn, impara a farti i cavoli tuoi!"
Dalla sua risposta capisco che, effettivamente, ho quasi urlato nel chiedere cosa fosse successo, e sono stato un idiota nel farlo: le ho buttato addosso ancora più pressione di quanta già non ne avesse.

Poi si gira dalla parte opposta e fa per allontanarsi, ma la fermo subito, stringendole la mano che sento caldissima.

Lei si ferma, ma rimane girata, impedendomi anche solo di provare a capire cosa fosse successo.

Guardo le nostre mani e sospiro con gli occhi semi chiusi.

"Erica, perché l'hai picchiato?"
Modero il tono della voce, sperando di riuscire a calmarla almeno un po' e riuscire a farmi spiegare questa maledetta situazione.

"Perché le ho toccato il culo.."
È Dylan a parlare e appena finisce la frase faccio cadere il braccio destro, sciogliendo la stretta sulla mano della ragazza.

Mi ero dimenticato che anche lui fosse li, e, dopo quello che ho appena sentito, ho ringraziato che fosse ancora qui, così posso dargli un sacco di botte.

La cosa che più da fastidio è il suo irritante sorriso di lato.
Affianco a me sento lei respirare pesantemente e la vedo arrossire parecchio.

Nel mio stomaco si è mosso qualcosa e, nonostante il freddo di dicembre, sento un'ondata di calore su tutto il corpo.

Mi giro verso di lui, ancora seduto a terra, e gli prendo la maglia dalle spalle alzandolo.
Mi stampo un sorriso sarcastico in faccia e gli tiro un pugno sullo zigomo facendolo finire di nuovo sull'asfalto.

Alla scena lei si mette a ridere, poi si metto subito le mani davanti alla bocca.
La guardo, non c'è proprio nulla da ridere.

Sposto lo sguardo ancora verso Dylan e lo costringo a guardarmi, minacciandolo.
Sono stufo di vederlo gironzolare attorno a lei.

"Toccala di nuovo, anzi no, prova anche solo a guardarla ancora una volta Cornwell e giuro che le mani non sarai più in grado di usarle."

Mi rialzo e le metto un braccio dietro la schiena, portandola dentro.

Il mio obbiettivo è quello di arrivare in un posto dove possiamo parlare senza nessun altro e penso subito ai corridoi dell'ingresso che ora sono sicuramente deserti.

Entro ed esco dalla palestra superando l'insegnante con una scusa non troppo credibile, ma riuscendo a cavarmela nonostante la ridarola della ragazza al mio fianco.

Una volta al suo armadietto, strada che ormai conosco a memoria, mi appoggio con le mani contro e stendo le braccia mentre guardo per terra.

Sono ancora nervoso e mi piacerebbe tornare fuori a dargliene ancora, ma ora sono qui, ora lei è qui.

"Raccontami per filo e per segno cosa diavolo è successo"
Il tono della mia voce è duro, lo riconosco, ma al momento non riesco a farci niente.

Lei non risponde.

Alzo la testa e la guardo: ha gli occhi spalancati ed è ancora rossa in viso.
Probabilmente è spaventata ma non lo ammetterá mai, neanche a se stessa.

Le prendo le spalle e la appoggio con la schiena contro gli armadietti, mettendo poi le mie mani ai lati della sua testa, sugli armadietti, riprendendo la posizione di prima e sempre a testa bassa.

"Perché ti importa?"
Mi chiede.

Alzo la testa di scatto e incontro i suoi occhi, che sono tanto simili ai miei, ma a me, i suoi, sembrano molto più belli.

Ha ragione, perché mi importa?
Lei è cinica, acida, cattiva, saccente, presuntuosa, cocciuta, talvolta immatura.

Giro la testa verso destra, osservando la porta d'entrata mentre penso a tutto ciò che ho sempre odiato nelle persone che è racchiuso dentro una sola e unica ragazza, ora fra le mie braccia e a pochi centimetri di distanza.

Torno a guardarla e un attimo dopo la bacio.

È tutto sbagliato, lei è sbagliata, eppure la sto baciando.

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