7 maggio - È di nuovo mattina presto, ma ho riposato e nelle ultime ventiquattr'ore mi sono rinfrancato. Ho dormito fino a tardi, ieri, svegliandomi spontaneamente. Vestitomi, sono andato nella stanza dove avevo cenato e dove ho trovato apparecchiata una colazione fredda, il caffè tenuto al caldo in una cuccuma posta sul focolare. Sulla tavola, un biglietto:
"Devo assentarmi per qualche ora. Non aspettatemi. D."
Mi sono seduto e ho preso a mangiare di gusto. Finito il pasto, ho cercato un campanello con cui informare i domestici che avevo terminato, ma di campanelli neppure uno. Indubbiamente, in questa casa vi sono lacune curiose, stando almeno alle straordinarie testimonianze di ricchezza onde sono circondato. Il vasellame è d'oro, e così bellamente lavorato che deve essere di immenso valore. I tendaggi, i rivestimenti delle seggiole e dei divani e il baldacchino del mio letto sono delle stoffe più preziose e più belle, che dovevano essere di costo favoloso quando sono state fatte, perché vecchie di secoli ancorché in ottimo stato. Ho visto qualcosa di simile a Hampton Court, solo che lì i tessuti erano lisi, logori, tarmati. E d'altro canto, non uno specchio in nessuna delle stanze; non ce n'è neanche uno piccolo, per la toletta, sul mio tavolo, e ho dovuto tirar fuori dalla valigia lo specchietto da barba per potermi radere e pettinare.
Finora, non ho visto alcun domestico, e attorno al castello non ho udito un rumore, eccezion fatta per l'ululare di lupi. Dopo aver finito il pasto - non so se chiamarlo colazione o pranzo, perché dovevano essere ormai le cinque o le sei di sera - mi sono guardato in giro alla ricerca di qualcosa da leggere, non volendo andarmene per il castello senza averne prima chiesto il permesso al Conte. Nulla, assolutamente nulla nella stanza: né libro né giornale, né l'occorrente per scrivere; e allora ho aperto un altro uscio, ed eccomi in una sorta di biblioteca. La porta dirimpetto l'ho tentata: è chiusa.
In biblioteca ho trovato, con vera delizia, una gran quantità di libri inglesi, scaffali e scaffali, e riviste e giornali rilegati in volumi. Periodici e quotidiani inglesi stavano sparpagliati anche su un tavolo al centro, ancorché nessuno di data molto recente. Quanto ai libri, del genere più vario - storia, geografia, politica, economia politica, botanica, geologia, giurisprudenza -, tutti, attinenti all'Inghilterra e alla vita, costumi e usanze inglesi. Ve n'erano persino di consultazione, quali la Guida di Londra, i libri "Rossi" e "Azzurri", l'Almanacco Whitaker, gli annuari dell'esercito e della marina e - il cuore mi si è aperto - l'Annuario di Giurisprudenza. (*)
Mentre osservavo i libri, l'uscio è girato sui cardini, è entrato il Conte, mi ha salutato cordialmente, ha detto che sperava che avessi riposato bene la notte, e ha soggiunto:
"Sono lieto che abbiate trovato la biblioteca perché sono certo che contiene parecchio di interesse per voi. Questi compagni" - e ha posato la mano su alcuni dei libri - "sono stati cari amici per me, e per parecchi anni, dacché ho concepito l'idea di andare a Londra, mi hanno regalato molte, molte ore piacevoli. Tramite essi, sono giunto a conoscere la vostra grande Inghilterra; e conoscerla equivale ad amarla. Non vedo l'ora di percorrere le strade affollate della vostra smisurata Londra, di trovarmi nel pieno del turbine e del tumulto di umanità, di condividerne la vita, il divenire, la morte, e tutto ciò che la fa quale è. Purtroppo, però, finora la vostra lingua la conosco solo attraverso libri. È a voi, amico mio, che mi rivolgo per sapere se la parlo e come".
"Ma Conte" ho replicato "voi conoscete e parlate l'inglese alla perfezione!" Si è inchinato con gravità.
"Vi ringrazio, amico mio, per il vostro anche troppo lusinghiero apprezzamento, ma temo di essere ancora molto indietro lungo la strada che intendo percorrere. Vero, conosco la grammatica e i vocaboli, ma non so come pronunciarli."
"Dico il vero" ho ribattuto "la vostra pronuncia è eccellente."
"Suvvia, suvvia" ha fatto lui. "Be', so che, se mi trovassi nella vostra Londra, ad aggirarmici e parlare, punti o pochi mi scambierebbero per uno straniero. Ma questo non mi basta. Qui io sono un nobile, un "boyar"; la gente del popolo mi conosce, io sono il signore. Ma uno straniero in terra straniera non lo è affatto; la gente non lo conosce, e non conoscere equivale a non rispettare. Mi piace essere come gli altri, per modo che nessuno, al vedermi, si fermi per la strada o cessi di parlare udendo la mia voce e commenti: "Ahah, uno straniero". Sono stato così a lungo signore, che vorrei esserlo ancora, o per lo meno che nessun altro abbia potestà su di me. Voi siete venuto da me, non soltanto in veste di agente del mio amico Peter Hawkins di Exeter, onde darmi tutte le delucidazioni sulla mia nuova proprietà a Londra: confido che restiate con me per un pezzo, sì che, parlando con voi, io possa far mio l'accento inglese; e gradirei che mi faceste rilevare gli errori che commetto parlando, anche i minimi. Mi dispiace di essermi dovuto assentare tanto a lungo quest'oggi, ma confido che voi saprete perdonare chi ha tante incombenze di gran momento per le mani."
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Dracula - Bram Stoker (Completo)
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