Una mattinata che inizia come tante altre e,tra uno scherzo e una battuta, arriva un nuovo caso per la squadra di Gibbs che questa volta dovrà occuparsi di un rapimento ai danni della famiglia di un marine. I sospetti sembrano ricadere tutti su una...
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La macchina di servizio si fermò davanti la sala giochi ormai deserta. Gibbs scese dall'auto guardandosi intorno. C'era un gruppo di ragazzi intenti a chiacchierare animatamente e altri due gruppi erano in piedi vicino a un'altra vettura intenti a consumare birra e fumare. C'era un gran movimento e nessuno sembrava aver notato il mezzo dei due federali posteggiata a pochi passi da loro.
"McGee, qual è?" chiese attraverso l'auricolare al collega che dall'auto stava seguendo il segnale del cellulare di DiNozzo attraverso il portatile.
"È tra quelli seduti sui gradini della sala giochi" rispose.
Gibbs individuò il gruppetto di giovani e vi si avvicinò con passo sicuro. Alla sua vista, i ragazzi si alzano facendo cerchio intorno a lui, sembrava un branco pronto a spolpare la preda, ma questo non intimorì minimamente l'ex marine che continuava a fissarli con superiorità.
"Ehi nonnetto, che fai in giro a quest'ora?" rise uno di loro, "non lo sai che si possono fare strani incontri se si gira per queste zone da soli a quest'ora della notte?", ghignò guardando gli altri che risero.
"Ca...capo?" balbettò McGee in apprensione, "vuoi che ti raggiungo?". Sentí Gibbs ridere: "Sto cercando un cellulare, potreste gentilmente mostrami i vostri?" chiese mostrando il distintivo.
Il gruppo di ragazzi si guardarono perplessi: "Scusa nonno?" rise uno di loro.
"Stai scherzando, vero?", disse uno di loro.
"Ma certo che scherza, non vedi che il distintivo è finto?", rise quello che continuava a chiamarlo "nonno".
Gibbs sorrise, poi con uno scatto veloce, arpionò il giovane con un piede facendogli fare un capitombolo: "Chiamami ancora una volta nonno e ti cambio i connotati, chiaro?" poi guardò gli altri che si erano istintivamente allontanati, "e ora ascoltatemi bene, non sono qui perché vi fate uno spinello, ma perché sto cercando una cosa, pensate di collaborare o devo prendermi i vostri cellulari con la forza?" tuonò adirato.
"Ok amico, sta calmo!" rispose uno di loro alzando le mani in segno di resa, "ecco guarda" continuò mostrando il proprio cellulare. Jethro lo scrutò senza toccarlo: "No, non è questo. Gli altri?".
Ad uno ad uno tirarono fuori i cellulari e li mostrarono a Gibbs, ma nessuno di loro era quello che cercava. Si portò una mano all'orecchio: "McGee, qui non c'è" sospirò. "Impossibile capo, lo vedo sul computer, e..." fece una pausa, "capo si sta allontanando!". Gibbs si guardò intorno e vide un giovane con il cappuccio tirato su, che si incamminava guardandosi furtivamente intorno. "Ehi!" urlò Jethro estraendo la pistola, "ncis non muoverti o sparo!" concluse. Gli altri giovani presenti si abbassarono spaventati, mentre il sospettato si bloccò alzando le mani: "Sto fermo, sto fermo, ma non sparare!" balbettò spaventato.
Gibbs lo raggiunse: "Il cellulare".
"Senti amico, non so cosa sia successo ma io non c'entro..." mormorò teso.
"Questo lascialo decidere a me e ora Il cellulare, muoviti!" sbraitò Gibbs.
Il giovane prese il cellulare dalla tasca: "L'ho acquistato da un tizio in sala giochi, mi ha detto di tenerlo spento per qualche giorno e..." fece una pausa, "ecco prendi, non lo voglio più vedere!" concluse mettendo il cellulare di DiNozzo in mano a Jethro.
"Non così in fretta, tu vieni con noi!" rispose Gibbs, mentre McGee, appena giunto sul posto, gli leggeva i diritti.
"Ma ho detto che non è mio, non potete arrestarmi", si oppose il giovane facendo resistenza.
Jethro rise guardando McGee: "L'hai sentito? Dice che non possiamo".
McGee abbozzò una risata spingendolo verso l'auto.
"Voi altri, basta fumare, tornate a casa!", urlò Gibbs al resto del gruppo che si dileguò.
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Lucy non credeva ai suoi occhi, Joel il suo amico più caro e fidato, colui con cui aveva diviso la sua infanzia, i suoi sogni, col quale aveva condiviso i momenti più belli e i più dolorosi della sua vita, che gli aveva dato una spalla su cui piangere quando era morto suo padre; lui era la stessa persona che l'aveva sequestrata e che aveva fatto quelle cose orribili a Tony.
"Che significa Joel?" chiese con la voce rotta dall'emozione.
"Tu non dovevi scoprirlo!", esclamò scosso, "ora, ora non potro più garantire per la tua sopravvivenza!" continuò con aria scioccata. Si avvicinò lentamente alla ragazza che lo guardava con occhi carichi di odio e lacrime. Si sentiva ferita e stupida per essersi fidata della persona sbagliata, per aver cercato proprio lui quando era stata aggredita in casa Murray quel mattino. Con la coda dell'occhio cercò l'agente che era rimasto a terra dolorante, doveva trovare un modo per sottrarre entrambi da quella situazione, se solo Tony non fosse stato ferito in modo così serio, forse...
"Mi dispiace Lucy", riprese facendo cenno di no col capo.
"Non è vero che ti dispiace, tu sei un mostro!", gli urlò contro col viso rigato di lacrime.
"Pensala come vuoi, ma ora dovrai venire con me" le disse pronto ad afferrarla.
"Ehi!" si sentì chiamare e, quando Joel si voltò, Tony gli assestò un colpo al volto con una vanga trovata lì vicino. Il giovane cadde a terra con un secco tonfo e Tony sopra di lui.
DiNozzo ansimò in difficoltà, ogni movimento gli sembrava costare uno sforzo incalcolabile, a denti stretti si rimise in piedi guardandola: "Ce la fai ad alzarti?" le chiese porgendole la mano. Lei annuì sconvolta e si alzò lentamente.
"Lo conosci?" le chiese ansimante.
"Non ne voglio parlare!" mormorò asciugandosi il viso e uscendo dal capanno sotto la pioggia battente. Tony la seguì guardandosi intorno. Quel posto gli era famigliare, ma non ricordava dove l'avesse già visto, prese la ragazza per mano: "Ehi, non correre, resta dietro di me, chiaro?". Lei non rispose e si liberò della presa di Tony che la guardò perplesso, ma era troppo stanco per indagare, in quel momento dovevano solo trovare un modo per cercare aiuto ed insieme s'incamminarono sotto la pioggia battente.