I fuochi d'artificio esplosero nel cielo notturno di Isao, illuminando i volti di coloro che li osservavano. Erano belli ed effimeri, Mei non aveva il tempo di catturare la loro immagine che li vedeva scomparire nell'oscurità, così come stava facendo lei.

Si stava spegnendo, come una lanterna. Il palazzo, Hideaki, Kyoden e i suoi figli, tutto sembrava pesare sulle sue spalle, ogni cosa era capace di farla piangere e di farla soffrire. Nemmeno il vento freddo del giardino riusciva ad asciugare le lacrime che le bagnavano il viso, cosparso di belletto.

Era pronta, per quella notte. Hideaki le aveva ordinato di sfilare con lui per le vie di Isao, di vestire i panni di un'Imperatrice che non era e che il popolo non avrebbe mai accettato. E lei stava obbedendo, si stava sottomettendo per l'ennesima volta, perché era ormai stanca di lottare.

"Mei?" la voce di Kyoden la portò ad abbassare lo sguardo verso il Torii predominato dalla figura del pavone. Il marito si stava avvicinando a lei lentamente, i suoi passi erano incerti. "Dove stai andando?"

La donna congiunse le mani sopra le gonne eleganti. Non lo aveva ancora perdonato, non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi. "A interpretare un ruolo che non mi si addice."

Quando Kyoden le fu accanto, le posò una mano sulla guancia e la guardò con  occhi carichi di rammarico. Non le disse niente, si limitò a osservarla e pensare quanto fosse bella, ai suoi occhi, la moglie. I lunghi capelli corvini erano stati lasciati sciolti sulla schiena, e il vento giocava con loro e con le larghe maniche del Jūnihitoe che l'avevano costretta a indossare.

Era meravigliosa, e al contempo triste. E lo era per colpa sua. "Mi odi?"

Lei sollevò il viso e scosse il capo, facendo tintinnare gli orecchini sui lobi. "No, sai che non potrei mai farlo, però, ora dovresti andare. Se ti vedessero..."

"Ascolta." le disse lui, avvicinandosi alla sua guancia con le labbra. Non le diede un bacio, ma si limitò a sussurrare al suo orecchio parole che, sperava, l'avrebbero resa felice. "Questa notte, ti porterò via dal palazzo. Ce ne andremo insieme, con i ragazzi, torneremo a Nanchino e ci lasceremo alle spalle gli Shinigami."

"Cosa?" sussurrò la donna, incredula e felice al contempo. Il cuore si era riscaldato di nuovo, aveva ricominciato a pulsare prepotentemente sotto le dodici vesti che avevano appesantito il suo fragile corpo. "Cosa significa?"

"Che non posso guardarti mentre ti spegni, Mei." le disse il marito. "Non posso stare in silenzio quando soffri."

Lei sorrise. Finalmente, aveva capito. Senza dire altro, gli prese il volto fra le mani e lasciò sulla sua bocca un bacio breve, che riuscì a tamponare quelle ferite interne che sembravano starli distruggendo.

Quando avvertirono dei passi avvicinarsi a loro, Kyoden fu costretto ad allontanarsi. Indietreggiò verso le pareti di foglie del giardino e le fece un cenno col viso. "Stanotte verrò a prenderti, aspettami."

Lei annuì, prima che il suo corpo scomparisse oltre i fiori e l'attenzione della donna venisse attirata da Kanna che, rigida ed elegante come di consueto, si era fermata sotto il Torii d'accesso.

"Kōgō." la chiamò, venendo affiancata da una portantina verde e dorata, sorretta da quattro uomini pronti a scortarla. "Salite pure sul mezzo, vi condurremo alla parata e vi unirete all'Imperatore. Quando il banchetto di capodanno sarà concluso e i centotto colpi di campana suonati, allora, torneremo a palazzo."

Mei sorrise, consapevole che, finalmente, avrebbe detto addio a quel luogo che tanto l'aveva spezzata e ferita, una volta per tutte.

Mei sorrise, consapevole che, finalmente, avrebbe detto addio a quel luogo che tanto l'aveva spezzata e ferita, una volta per tutte

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𝐋𝐀𝐌𝐄 𝐃𝐈 𝐒𝐀𝐍𝐆𝐔𝐄 - 𝑅𝑖𝑠𝑣𝑒𝑔𝑙𝑖𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora