10(Parte II/II)

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Nobu aveva visto Hotaru allontanarsi, parlare con alcuni uomini di questioni che le avevano fatto mettere le mani fra i capelli e alzare gli occhi al cielo. Avrebbe voluto raggiungerla, ma sapeva di non potersi allontanare né  origliare quando parlava coi suoi sottoposti.

Perciò, era rimasto un po' a giocare con le bambine innanzi il fuoco che avevano acceso, prima di congedarle e voltarsi verso la ragazza la cui compagnia era diventata ormai piacevole.

La vide camminare nervosamente avanti e indietro per poi sollevare un braccio e far cenno ai propri uomini di andare, mentre lei si dirigeva verso il punto più alto della prateria, lì dove avevano stabilito una lunga fascia di tende poste a celare chissà quale mistero.

Nobu la seguì di nascosto, risalì con lei la collina, convinto di non essere visto e sentito, ma quando la kunoichi arrivò alle porte della tenda principale si voltò di scatto, e lanciò un pugnale verso il tronco dell'albero in cui il giovane aveva pensato bene di nascondersi.

"Vieni fuori, non ho voglia di giocare con te." gli disse amaramente, come se dopo quel bacio rubato tutta la sua gentilezza fosse andata via.

Nobu fuoriscì dal suo nascondiglio e le sorrise, deciso a mantenere una convivenza pacifica. "Mi chiedevo cosa stessi facendo, hai il viso di una che ha perso la pazienza."

"È così in effetti." replicò lei. "Torna all'accampamento e non disturbarmi, non ti piacerebbe ciò potresti vedere."

"Provare per credere, Hotaru-chan." le sorrise lui, raggiungendo i drappi di stoffa che occultavano l'entrata a un luogo da cui proveniva solo energia negativa. "Che cosa nascondete?"

La ragazza aprì le tende ed entrò senza rispondergli, venendo accolta solo dall'oscurità. Nobu la seguì e in un attimo le sue orecchie vennero travolte dai versi che gli Yokai erano soliti a emettere in punto di morte. Si guardò intorno e, una volta che i suoi occhi si furono abituati all'oscurità, il giovane riuscì a notare quegli stessi esseri rinchiusi in delle gabbie di ferro, smaniosi di uscire fuori. Alcuni urlavano, altri giacevano immobili, altri ancora facevano vibrare le sbarre del luogo in cui erano rinchiusi con il loro continuo movimento.

"Ma che diamine..."

"Questi sono i nostri Yokai." gli disse Hotaru, senza timore. "Sono addestrati, ma a volte perdono il senso della quiete. Non sono fatti per stare in delle gabbie."

"E cosa fate per tranquillizzarli?" domandò Nobu, prendendole istintivamente una mano, come per farsi coraggio. Lei la strinse, sbuffando una risata. "Li uccidete?"

"Sarebbe uno spreco. Gli Yokai sono merce rara e sfruttabile in mille maniere, dobbiamo solo farli stare calmi. La musica e il canto sono due ottimi metodi, ti stupiresti nel sapere quanto sono in grado di renderli deboli."

"Dici sul serio?"

"Sì, ma questo la gran parte degli Shinigami non lo sa. Solo i Nakamura e i Togashi sono stati in grado di scoprirlo." gli spiegò Hotaru, guardandosi intorno per valutare la situazione. "Siamo gli unici due clan capaci di trattare con gli Yokai, solo che... i Togashi preferiscono estirparli, mentre noi studiarli."

Nobu annuì e indietreggiò ancora prima di poter parlare. Un Kappa aveva tentato di allungare una mano verso di lui e strappargli con gli artigli un lembo della casacca. "Fai qualcosa..."

Hotaru lasciò la sua mano e si mise al centro della tenda, socchiuse le labbra, consapevole di non poter più attendere e, invece di dar vita a un canto, come Nobu si aspettava, gridò.

Il suo grido, però, aveva qualcosa di strano. Sembrava seguire uno schema ben definito di alti e bassi, ciò portava gli Yokai a rilassarsi, a sedersi, a chiudere gli occhi e a sprofondare fra le grinfie del sonno. La voce alta della ragazza non era fastidiosa, e Nobu provò il desiderio di ascoltare di nuovo quel canto travestito da urlo.

𝐋𝐀𝐌𝐄 𝐃𝐈 𝐒𝐀𝐍𝐆𝐔𝐄 - 𝑅𝑖𝑠𝑣𝑒𝑔𝑙𝑖𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora