{la copertina è stata realizzata dalla fantastica @Ida_A_Johnson}
Adrianne ha ventitré anni e vive a Galway dalla nascita, è una figlia e una sorella amorevole e dedita al lavoro. Non ha mai creduto né all'amore, né al principe azzurro, ma forse un...
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"Però d'altra parte: se non siamo amici, anche qualcun altro potrebbe amarti e d'altra parte: se non siamo amici, non ci sarebbe nulla che io possa fare." Ed Sheeran
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Non sono mai stata il tipo di persona che ama i risvegli. Lasciare le calde lenzuola – anche in piena estate – era sempre stato un tormento per me. La semplice idea di trascinarmi fino in cucina per preparare la colazione era già un'impresa titanica, figuriamoci alzarmi con un mal di testa martellante e un senso di nausea post-sbornia.
Quel giorno, la luce del sole, che di solito trovavo insopportabile, mi sembrava ancora più crudele. Mi pizzicava la pelle, si posava sul viso come una condanna. Avevo provato ad aprire gli occhi, ma il dolore che mi esplodeva dietro le palpebre mi costringeva a richiuderli immediatamente. Ogni punto su cui cercavo di fissare lo sguardo sembrava amplificare il mio malessere.
Eppure, nonostante il caos che regnava nel mio corpo, qualcosa mi colpì con un'intensità tale da costringermi a svegliarmi del tutto: un profumo maschile. Era forte, intenso, inebriante, ed era dappertutto. Sobbalzai, aprendo gli occhi di forza per cercare di capire dove mi trovassi. E fu allora che il mio cuore perse un battito.
Non ero a casa mia.
Le lenzuola in cui ero avvolta non erano le mie. Il letto, l'arredamento, tutto quanto mi era completamente estraneo. Mi guardai intorno, cercando di mettere a fuoco l'ambiente che mi circondava. La stanza era moderna, asettica, dominata da un bianco accecante e da dettagli neri. Era come svegliarsi in una rivista di design, ma senza alcuna traccia di personalità.
Cercai di massaggiarmi le tempie per alleviare il dolore, ma un dettaglio attirò la mia attenzione prima ancora che potessi chiudere di nuovo gli occhi: il vestito che indossavo la sera prima era ripiegato con cura su una chaise longue, i miei tacchi, che avevo odiato con tutta me stessa, erano ordinatamente sistemati accanto a essa. Io, invece, ero avvolta soltanto in una camicia maschile bianca, visibilmente troppo grande per il mio corpo, e le mie uniche mutande.
Il panico iniziò a montare dentro di me.
Mi voltai di scatto verso il comodino, cercando il mio telefono. Doveva essere lì da qualche parte. Quando finalmente lo trovai, notai un biglietto appoggiato sopra di esso. Lo afferrai con mani tremanti, e le parole che lessi non fecero altro che aumentare il mio smarrimento:
"Sono andato a correre. Se ti svegli e non mi trovi, gli analgesici sono sulla penisola della cucina, insieme alla tua colazione. Buongiorno!"
Il biglietto mi lasciò senza parole. Chi diamine era così sconsiderato da lasciare un'estranea da sola in casa sua? E, soprattutto, perché stavo indossando una sua camicia? Come ci ero finita lì?
La mia mente era un vortice di domande senza risposta, e il malessere fisico non aiutava a schiarirmi le idee. Sentivo le tempie pulsare, il mal di testa martellare, e lo stomaco contorcersi in un modo che preannunciava il peggio.