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"È meglio il silenzio che l'equivoco

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"È meglio il silenzio che l'equivoco."
Arthur Rimbaud



Tamburellavo con le unghie sulla scrivania del mio studio, gli occhi che scorrevano velocemente sulle parole dell'ennesimo manoscritto che stavo segnando con la penna rossa. Ogni tanto, sollevavo lo sguardo verso il soffitto, come a cercare una distrazione, ma il mio cervello sembrava incapace di smettere di pensare a ciò che era successo.

Erano passati due giorni da quando avevo incontrato Alexa nei bagni della Styles Press, e ancora non avevo parlato con Harry. Le sue chiamate, i messaggi, tutti erano rimasti senza risposta. Non avevo risposto a nulla, non avevo cercato di chiarire. E sapevo che probabilmente il mio comportamento era infantile, ma non riuscivo a fare altrimenti. Ogni volta che il pensiero di parlare con lui mi attraversava la mente, il peso della rabbia cresceva dentro di me, un'onda che mi travolgeva. La stessa rabbia che mi impediva di fare il passo successivo, di abbattere quel muro che mi ero costruita intorno.

Eppure, quando cercavo di ignorare le parole di Alexa, mi rendevo conto che, in qualche modo, mi toccavano più di quanto avrei voluto ammettere. Mi sembrava che Harry mi stesse usando, che fossi solo un diversivo per lui, un passatempo temporaneo, e io non riuscivo a scrollarmi di dosso quel pensiero. Hailee era stata l'unica a cui avevo confidato cosa era successo, ma la sua reazione non era stata quella che mi aspettavo. Mi aveva presa per matta, per rimbambita, e aveva concluso che, se mi fossi convinta di quelle idee, era perché probabilmente le avrei già pensate da sola.

Mai prima di quel momento avevo pensato di essere solo una pedina nelle mani di Harry. Ma Alexa aveva colpito nel segno, e le sue parole avevano avuto un impatto su di me che non avrei mai immaginato. Aveva scalfito la mia sicurezza, penetrando in un punto così vulnerabile che non riuscivo a ignorarlo. Eppure, non volevo crederci. Volevo sperare che mi stessi sbagliando.

Un improvviso rumore di nocche contro la porta mi fece sobbalzare. La penna rossa che stavo impugnando cadde dalla mia mano e rotolò sul pavimento. Mi ripresi in fretta, gridando senza pensarci: «Avanti!» e, poco dopo, Harriet entrò nell'ufficio. Era visibilmente dispiaciuta di aver interrotto il mio momento, ma sapevo che non era venuta a scusarsi. Era venuta per qualcosa di più importante.

«Ha insistito per vederti» disse Harriet con una scrollata di spalle, come se fosse la cosa più normale del mondo.

«Ma chi?» chiesi, cercando di capire se mi stessi perdendo qualcosa. La confusione che provavo cresceva, e il mio sguardo saltava da Harriet a Harry, che stava ancora seduto con le braccia incrociate. Mi sentivo come se ci fosse una conversazione a cui non ero stata invitata, e la sensazione non mi piaceva affatto.

«Pronto? Terra chiama Adrianne! Tuo fratello! Chi sennò?» rispose con un tono che, seppur ironico, non riusciva a nascondere la sua impazienza.

A quel punto, Harry sembrò finalmente svegliarsi, sbuffando rumorosamente e alzando lo sguardo verso di me. Non lo guardavo da giorni, e ogni volta che i suoi occhi verdi si posavano su di me, provavo una strana sensazione: come se ci fosse una tensione nell'aria che non riuscivo a ignorare. Non mi piaceva.

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