Prologo

917 96 52
                                    


Un lampo improvviso squarciò, illuminandolo, un cielo pieno di nuvole nere. Rumore di acqua come un ruscello che scorreva veloce. Sentiva il gelo che lo avvolgeva come fosse una coperta. Si sforzò di aprire gli occhi, la pioggia che cadeva fitta sul suo viso lo aveva svegliato improvvisamente con una sensazione simile all'annegamento. Faceva fatica a respirare. Il foglio di cartone sotto cui aveva cercato invano di ripararsi dal freddo era ormai fradicio, come fradici erano i suoi miseri vestiti. Non poteva continuare a restare lì fermo sotto quell'acqua. Il silenzio di una notte buia e tetra veniva squarciato di tanto in tanto da qualche auto che sfrecciando gli passava accanto accecandolo e gettando altra acqua sui suoi abiti zuppi. Non ricordava nemmeno perché era lì. Con fatica si rialzò dal suo giaciglio fatto di cartone ormai fradicio e qualche straccio. Doveva arrivare sotto il ponte, lì almeno sarebbe riuscito a ripararsi dalla pioggia che cadeva sempre più fitta. Nel buio, interrotto solo da alcuni lampioni che gettavano fasci di luce sinistra sull'asfalto bagnato, cercò di incamminarsi verso il riparo. Trascinava le gambe, il freddo le aveva intorpidite come fossero pezzi di legno, i piedi scalzi strisciavano nell'acqua che gli arrivava alle caviglie. Tremava di freddo e di fame. Non ricordava neanche più quanto tempo era trascorso da quando aveva fatto l'ultimo pasto caldo. Erano giorni che non riusciva più a trovare la strada della mensa della Caritas. Era confuso, aveva immagini di vite diverse che gli passavano davanti agli occhi. I ricordi, quelli che ancora c'erano, erano tutto ciò che aveva. Sentiva, in bocca, un sapore amaro e dolce allo stesso tempo, simile alle mandorle che aveva mangiato qualche giorno prima. Era andato al centro trasfusioni, da quando aveva scoperto che lo pagavano per prelevargli il sangue, appena poteva andava lì mettendosi in tasca qualche euro. Quel giorno uscendo dal centro aveva comprato un sacchetto di mandorle nel piccolo supermercato in fondo alla via e le aveva mangiate subito con desiderio. Quel sapore gli era rimasto in bocca per parecchio tempo, e ancora gli sembrava di sentirlo. Sempre più spesso gli succedeva che i ricordi si offuscavano distorcendo ciò che era reale dai sogni o gli incubi che ormai lo trascinavano via appena chiudeva gli occhi, magari non era passato qualche giorno da quando le aveva mangiate, magari era passato qualche mese, o magari non era neanche realmente avvenuto. Strascicava verso il ponte portando con sé un sacchetto di stracci che erano tutto il suo mondo, tutto quello che possedeva era chiuso lì dentro. Mancavano pochi metri. Tremava sempre di più. Una luce improvvisa lo accecò con uno stridore di freni sull'asfalto umido. Cercò, alzando le mani davanti al viso, di ripararsi gli occhi da quella luce sempre più forte che si avvicinava sempre di più. Sentì solo un tonfo e il buio che lo trascinò con sé. Per alcuni interminabili secondi gli sembrò di volare catapultato nell'infinito del cielo buio. Quello stesso buio nero che non era più sulla sua testa ma improvvisamente dentro di lui, poi non sentì più nulla, non sentì il freddo, né la fame, solo un dolore fortissimo che si impossessava interamente del suo corpo prima di annegare in quel buio nel silenzio più assoluto. Tutto intorno a lui si spense come se qualcuno avesse premuto un interruttore, riuscì a pensare solo per un'ultima volta al suo sacchetto, le sue cose, prima di lasciarsi risucchiare da quel vuoto e finalmente trovare la pace in quel mare denso di oscurità.
© Dan Ruben

IL CLOCHARD Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora