34

252 57 27
                                    

Quando arrivò a casa di Eliane dovette bussare diverse volte prima che lei venisse ad aprirgli. Tanto che per un momento, valutò l'idea di provare a sfondare la porta o entrare dalla finestra. Poi la sentì muoversi e avvicinarsi all'ingresso. Quando aprì sembrava terrorizzata, il viso bianco e gli occhi rossi e umidi. Jean si spaventò chiedendo più volte cosa avesse o se era successo qualcosa di grave. Lei non rispose, aveva aperto la porta con timore e tremando ininterrottamente e si era allontanata da lui e dall'ingresso rannicchiandosi nuovamente contro il muro della sala. Jean si sentiva confuso, cercò di avvicinarsi ma lei si allontanò rannicchiandosi ancor di più, continuando a tremare e a tenersi le ginocchia al petto. Lui allora si sedette accanto, ma non vicino. Intuendo il suo particolare momento, poggiò le spalle alla parete e restò in silenzio aspettando che si calmasse. Per più di un'ora rimasero lì fermi immobili senza parlare, poi Eliane lentamente allungò una mano verso di lui. Era fredda e ancora tremava leggermente. Lui la strinse delicatamente muovendo le dita per accarezzarla. Non disse nulla continuando a restare in silenzio rispettando quella forma di solitudine che lei aveva costruito per proteggersi. Il tremore cessò dopo qualche minuto e lui provò ad avvicinarsi con titubanza. Questa volta lei non lo respinse e finalmente Jean l'abbracciò.

«Va tutto bene» le sussurrò mentre dentro la rabbia per quello che lei aveva dovuto passare lo corrodeva come acido. Una bambina sola e impaurita preda di un mostro che avrebbe dovuto amarla invece abusava di lei. Non osava immaginare la sofferenza che Eliane aveva dovuto patire nella sua infanzia. La paura con cui aveva dovuto convivere tutti i giorni avendo quel mostro in casa. "Una bambina, era solo una bambina maledizione"

***

La notte era fredda, la temperatura si era abbassata ulteriormente avvicinandosi a quelle rigide invernali. Nel silenzio interrotto soltanto da una sirena in lontananza, un uomo uscì dal portone. Era completamente vestito di nero. Indossava un giubbino di pelle imbottito per ripararsi dal freddo, un cappello con visiera che gli copriva il viso, e aveva in spalla una custodia di chitarra. Fu assalito dal gelo, il respiro che usciva dalle sue labbra, faceva nuvole di fumo. Si guardò intorno muovendo lo sguardo diverse volte lungo la strada, per vedere qualche movimento anomalo. Alla fine, si tranquillizzò non notando nulla e si avviò lungo il marciapiede ormai deserto della notte, cercando principalmente le zone buie che facevano da contorno ai fasci di luce gialla che i lampioni gettavano sulla strada. Il buio era essenziale, nessuno doveva vederlo, la punizione di Dio arrivava dalle tenebre.

***

Alla fine, non avevano mangiato le ostriche e nemmeno cenato, si erano infilati nel letto abbracciandosi sotto le coperte, sentendo il bisogno fisico di stare vicini. Eliane era pervasa da attacchi violenti di freddo improvviso, lui invece da rabbia feroce. Due situazioni diverse che avevano però un unico punto comune: il cercarsi e l'abbracciarsi come fonte di calore e di protezione. Non avevano parlato molto, non serviva, sembrava che viaggiassero sullo stesso binario: bastava uno sguardo. Eliane aveva imparato ad apprezzare questo particolare modo silenzioso che Jean aveva di leggerle dentro. Lui sembrava possedere la capacità di capire esattamente di cosa lei avesse bisogno. Tra le sue braccia si sentiva al sicuro e questa sensazione l'aveva aiutata a calmarsi allontanando il buio che aveva dentro. Ripensò a quando lo aveva conosciuto, a come le dava fastidio quella sua arroganza e presunta sicurezza, a come lo avesse giudicato frettolosamente, superficiale e donnaiolo. Forse questo era quello che si vedeva, la parte esteriore di lui. Jean era molto altro. Lo aveva capito. Conoscendolo lo aveva capito. Quello che a lei sembrava arroganza era invece sincerità, lui non si nascondeva, lui era così, lo era sempre stato e un po' lo invidiava per questo. Lei invece condizionata dalle sue paure, aveva sempre cercato di nascondersi, di non apparire evitando ogni possibilità di avvicinamento a lei. Era la sua forma di difesa. Come le spine di una rosa o come una piantina di cactus, pungeva per allontanare. Sorrise ripensando all'accostamento della piantina che lui le aveva fatto. In effetti era vero, Jean come molto spesso succedeva, aveva capito molto di lei anche senza conoscerla ancora. Si voltò leggermente a guardarlo, anche lui come ad aver percepito una sorta di richiamo spostò lo sguardo su di lei

«Come stai?» gli chiese

Eliane accennò a un sorriso «meglio. Grazie»

«Mi dispiace molto per quello che hai passato» non sapeva esattamente cosa dire, ma voleva che lei sapesse ciò che provava

Lei gli accarezzò il viso

«Avrei voluto conoscerti allora» disse lui con ancora quella rabbia che sentiva dentro «non gli avrei permesso di farti del male»

Lei non rispose e lui continuò «avresti dovuto parlarne subito con qualcuno»

«Non è facile» sussurrò «non era solo paura, mi vergognavo e mi sentivo sporca» riportò lo sguardo su di lui come a scacciare i ricordi «non so nemmeno come sono riuscita a raccontarlo a te» affermò «con Elisa una sera ci provai, non ricordo come il discorso cadde su gli abusi subiti da piccoli. Mi fermai all'istante appena vidi la pena e la compassione nei suoi occhi. Non parlavamo di me ma solo a guardarla stetti male»

«Però capisci che tutti gli anni trascorsi tenendoti dentro questo dolore non hanno fatto altro che far crescere ancora di più la tua paura»

«Lo so, ma non avevo accanto nessuno a cui interessava ascoltarmi. Molte volte speravo che mia madre mi chiedesse, ma lei sembrava vivere in un mondo suo dove tutto era perfetto. In realtà non era perfetto niente» si sollevò mettendosi a sedere «io lo so che parlarne sarebbe stata la cosa giusta da fare, ma ero una bambina e non avevo accanto te»

Lui scrutò i suoi occhi per capire il significato di quello che lei gli aveva appena detto e Eliane continuò «io non ho bisogno di fare sforzi a raccontarti di me perché tu riesci a leggermi dentro, come se tu sapessi già tutto. Quindi questo mi porta a non avere reticenze o paure con te» sospirò «tu non giudichi. Se solo ti avessi avuto accanto in quegli anni oppure avessi avuto accanto qualcuno che mi faceva sentire le cose che mi fai sentire tu sicuramente ne avrei parlato, ma in quel momento, una bambina impaurita che si sente anche sporca come se la colpa fosse sua, non ha né la forza né la capacità per capire queste cose» fece una smorfia nervosa «mi vergognavo così tanto»

***

Si avvicinò al sottopasso, sapeva che lo avrebbe trovato lì. Camminava nelle zone più buie e con la testa bassa in modo da non far vedere il viso se qualche telecamera di sorveglianza lo avesse inquadrato. Aveva studiato bene il posto. Prima di entrare nel sottopasso si voltò indietro a guardare la strada. Nessuno, sorrise. Lui era la punizione di Dio sulla terra e nessuno poteva fermarlo.

© Dan Ruben

IL CLOCHARD Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora