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Eliane entrò nella stanza. Sentiva quasi freddo, come se avesse i brividi. C'erano quattro letti con quattro pazienti inermi e immobili sdraiati. La stanza era illuminata da una debole luce tanto che ci mise un po' per abituare gli occhi a quella penombra e ad individuare il clochard. Il ronzio continuo dei macchinari per l'ossigeno faceva da colonna sonora. Conosceva bene quelle apparecchiature quei suoni. Si avvicinò all'uomo. Lo guardò per alcuni istanti poi con fare professionale gli aprì le palpebre nel tentativo di vedere se c'era un qualche segno di vita. Nulla. Quell'uomo viveva solo grazie a quelle macchine.

«Mi dispiace» sussurrò accarezzandogli la fronte. Era frustrante non riuscire a capire cosa era andato storto. Se solo fosse riuscita a individuare una possibile causa forse avrebbe potuto fare qualcosa per quell'uomo. Si stava abituando alla penombra sempre di più. Ormai vedeva bene le linee del viso dell'uomo, l'espressione rilassata e inerme, sembrava non soffrire. Chissà se riusciva a sentirla. Si era sempre domandata se fosse vero che i pazienti in quelle condizioni avevano la percezione del suono e delle parole.

«Non ti lascio da solo, verrò a trovarti ancora» gli disse con affetto sincero, sperando davvero che potesse sentirla. Poi si girò per uscire dalla stanza in cerca di un'infermiera. Voleva vedere la cartella clinica del clochard. Fu in quel momento che lo vide. E il cuore le balzò in gola. Era sdraiato nel lettino di fronte a quello del povero barbone. La sua attenzione si concentrò sul volto di quell'uomo inerme. Quel volto che somigliava enormemente a quello di suo padre, tanto che inizialmente si era spaventata. Lo stesso volto che aveva visto in una delle fotografie sparse sulla scrivania di Jean. Come lo aveva chiamato? "Colonnello Martin?" La polizia credeva fosse morto, invece quel clochard era lì. Si avvicinò al suo lettino. Vide un tubicino infilato tramite un ago nel braccio da dove passava il sangue prima di entrare in un dispositivo che procedeva a filtrarlo e a rientrare nel braccio attraverso un secondo ago. Era un'emodialisi. Sicuramente quell'uomo aveva un'insufficienza renale. Si avvicinò al suo letto e sollevò di lato le lenzuola che lo coprivano. C'erano delle ecchimosi sul fianco. Cercò con la mano di andare dietro la schiena fino ai reni. C'era una cicatrice, la sentiva con le dita. Quell'uomo aveva subito un 'operazione. Tirò via decisamente il lenzuolo e vide un'altra cicatrice lunga che partiva dallo sterno e arrivava fino all'ombelico. Quell'uomo era stato aperto in due. Incuriosita si avvicinò al lettino accanto e sollevò il lenzuolo dell'altro paziente inerme. Anche quell'uomo aveva una cicatrice pressoché identica. Non aveva senso, perché operare quegli uomini? Erano in coma irreversibile, a cosa serviva? Era così presa dalle sue riflessioni che non si accorse dell'arrivo della figura in camice bianco alle sue spalle.

«Chi è lei? Cosa sta facendo?»

La voce la fece trasalire «sono la dottoressa Fontaine» rispose dopo un attimo di smarrimento «stavo controllando il paziente»

«Non credo che lei lavori in questo ospedale dottoressa» era abbastanza nervoso notò Eliane. Era un uomo decisamente robusto con un portamento autoritario e indossava il camice bianco da infermiere.

«No, sono in visita» rispose cercando di riportarlo alla calma, l'ultima cosa che voleva era una discussione incresciosa e inconcludente.

L'uomo sembrò calmarsi «la prego di non toccare i pazienti» disse ma questa volta il tono era decisamente più morbido

«Ha ragione mi scusi. E' che delle volte mi faccio prendere dalla deformazione professionale» sorrise

Anche l'uomo le sorrise mettendo le mani nelle tasche del camice che indossava

«Mi chiedevo se fosse possibile vedere la cartella clinica del clochard?» chiese Eliane gentilmente indicando l'uomo senza nome

«Certamente è in archivio. Se vuole seguirmi gliela mostro» si girò per uscire dalla stanza

Eliane lo seguì «l'uomo ricoverato di fronte al clochard da quanto tempo è qua da voi?» voleva avere notizie di quello che credeva fosse il capitano Martin

L'uomo sorrise voltandosi verso di lei mentre continuava a camminare «non saprei, non lavoro qua da molto, ma se vuole possiamo controllare»

«La ringrazio molto»

***

Si alzò dalla sedia e uscì dalla stanza degli interrogatori lasciando un Adam sbigottito e stupito seduto fermo che lo guardava. Appena varcò la porta, la prima cosa che fece fu recuperare il cellulare dalla tasca della giacca, rendendosi conto solo in quel momento di averlo dimenticato spento. "Cazzo cazzo cazzo" Con tutto quello che era successo non ci aveva più pensato. Lo accese mentre si recava verso l'ufficio di Martinel, lo schermo si illuminò facendo comparire la notifica del messaggio di Eliane e le telefonate perse che lei gli aveva fatto. Compose il suo numero con un senso crescente di ansia, ma la segreteria gli annunciò che il cellulare era spento. Maledizione, aveva la fortissima sensazione che lei fosse in pericolo, come se si sentisse che stava per succedere qualcosa. Sbirciò il messaggio che lei gli aveva mandato mentre entrava con veemenza e senza bussare dall'ispettore.

«Ispettore dobbiamo andare immediatamente alla clinica il risveglio» annunciò in modo trafelato

Martinel alzò gli occhi sul suo uomo «che succede?»

«Bacol ha detto che i clochard rapiti li portava in quella clinica, ma la cosa che mi preme di più è che la dottoressa Fontaine si trova là e io credo sia in pericolo»

Mathys lo guardò «sei sicuro che sia lì?»

«Sto provando a chiamarla e non risponde, so che voleva andare in quella clinica e io credo che sia in pericolo» non sapeva perché si sentisse dentro quelle cose, ma sapeva che se fosse successo qualcosa ad Eliane non se lo sarebbe mai perdonato

Martinel si alzò, sapeva di non poter entrare in una clinica sulla base di supposizioni e una mezza confessione, ma sapeva anche di non poter correre il rischio di arrivare tardi se davvero la dottoressa fosse stata in pericolo «vai con due pattuglie io cerco di procurarmi il mandato dal procuratore, ma finché non abbiamo il mandato non fare nulla» ordinò al suo agente

Jean si girò per uscire dalla stanza. Doveva raggiungere la clinica il prima possibile pensò mentre correndo verso la macchina provava ancora a chiamare Eliane.

***

Quando arrivarono davanti alla porta di quello che doveva essere l'archivio che conteneva i documenti inerenti ai pazienti ricoverati, l'uomo si fermò e con un gesto di cavalleria le fece cenno di accomodarsi. Eliane entrò nella stanza e nell'istante stesso che varcò la soglia, sentì un ago infilarsi alla base del collo poco sotto l'orecchio e del liquido caldo iniettarsi nel suo corpo. Immediatamente si girò verso l'uomo. Lo vide agitato e nervoso con una siringa in mano ormai vuota

«Cosa mi hai fatto?» urlò scagliandosi contro di lui nel tentativo di fuggire.

L'uomo le bloccò la strada afferrandola, lei sentiva le forze abbandonarla, doveva averle iniettato una sostanza per farla addormentare. Sentiva il cuore aumentare i battiti in modo vertiginoso, mentre non riusciva a liberarsi dalla stretta di quell'uomo. Le sembrò di non riuscire quasi più a respirare, si sentiva sempre più debole e il nero iniziò a prendere posto davanti ai suoi occhi e nella sua mente. Non riusciva a scacciarlo. Il buio denso e terrificante delle sue paure. Quel buio la stava trascinando con sé. Alla fine, non sentì più nulla. Si accasciò senza più forze tenuta dall'uomo. E sprofondò nel suo peggiore incubo.

Il buio.

© Dan Ruben

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