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Aveva passato l'intera mattina cercando ancora elementi che potessero essere di un qualche aiuto, ma si era reso conto che la mente spesso ritornava alla sera precedente. Cazzo. Quella piantina spinosa gli stava invadendo la mente come un virus. Sorrise.

...Quando erano usciti dalla pizzeria invece di accompagnarla subito a casa, si era fermato ai giardini che costeggiavano la Senna. Avevano camminato insieme sotto le luci dei lampioni con il suono melodico dell'acqua del fiume che scorreva sinuoso. Avevano parlato, avevano riso, erano rimasti in silenzio a sentire il rumore dei loro pensieri. Si erano raccontati con complicità le avversità che la vita gli aveva messo di fronte. Erano stati bene. Così bene e così in sintonia che quando arrivarono sotto il portone di casa di Eliane, per una brevissima frazione di secondo, in lei, si accese il desiderio di prolungare quella serata e quella sensazione di piacere che sentiva. Percepì un forte brivido di paura per quello che stava provando e che francamente non aveva preventivato, e questo la rendeva insicura di cosa volesse realmente. Era combattuta. Una parte di lei voleva assolutamente restare ancora con lui, un'altra parte invece ne aveva paura, una paura folle. Ma alla fine si decise e facendosi forza sussurrò «vuoi salire per un caffè?» Era titubante, non sapeva nemmeno lei perché lo stesse chiedendo.

Lui le accarezzò il viso «Mi piacerebbe moltissimo e sarei l'uomo più felice del mondo, ma credo che tu non sia ancora pienamente convinta di offrirmi quel caffè» sorrise ed era un sorriso sincero constatò lei. Poi la baciò sulla guancia «sono stato molto bene stasera e mi piaci davvero molto dottoressa Fontaine ma non voglio rovinare tutto e so che, anche se lo desidero fortemente, se salissi ora commetterei un grossissimo errore»

La guardò ancora per un momento come a memorizzare il suo viso e i suoi occhi.

«A domani Eliane» sussurrò prima di girarsi e avviarsi verso l'auto...

Ora ripensandoci, non si pentiva della decisione presa, però il desiderio che aveva di lei era così intenso che francamente si dette più volte del coglione nella sua mente. Il fatto era che stranamente si era reso conto di stare bene in sua compagnia e questo non aveva nulla a che fare con il desiderio fisico. Per la prima volta una donna gli interessava ben oltre il desiderio di possederla. Sospirò alzandosi dalla scrivania e iniziando ad andare avanti e indietro nervosamente. Doveva smetterla di pensare a Eliane. Almeno in quel momento. Guardò fuori dalla finestra e cercò di ritornare con la mente al caso che aveva sul tavolo. Si risedette, doveva cercare di concentrarsi il più possibile. La scientifica gli aveva portato gli esiti degli ultimi rilievi fatti sul luogo del ritrovamento di Jerard Califfe, ultimo clochard morto. Tra questi c'era il video della piccola telecamera di sorveglianza che Martinel aveva fatto recuperare. Era stato attentamente analizzato, si vedevano persone camminare, auto passare ma il luogo dell'omicidio non si vedeva, era troppo distante. Jean non riuscendo a vedere l'omicidio, si concentrò sulle persone che entravano in quella via. Con il passare delle ore sempre meno persone transitavano davanti a quella telecamera. All'ora presunta dell'omicidio solo un uomo attraversò la strada. Era alto almeno un metro e ottanta, aveva un giaccone scuro e un cappello con visiera che gli copriva il viso e portava a tracolla la fodera di una chitarra. Doveva essere un musicista. L'immagine era sgranata e il buio della notte non rendeva facile l'identificazione. Passava in direzione opposta al punto dell'omicidio e quando arrivò quasi sotto la telecamera, proprio a ridosso di un lampione, si girò improvvisamente voltando in una traversa e scomparendo dalla visuale. Jean tornò indietro per rivedere le immagini. A mano a mano che l'uomo si avvicinava lui fermava l'immagine e lo fissava cercando di notare qualcosa. Dovevano essere le tre di notte, il patologo aveva stabilito che avendo rinvenuto il corpo verso le cinque e considerando che mediamente la temperatura corporea si abbassa di 0,5 gradi all'ora e in quel momento il corpo aveva circa un grado in meno, presupponeva, con cognizione di causa che la morte fosse avvenuta verso le tre. Quindi quell'uomo arrivando da quella via non poteva non aver visto il clochard morto. A meno che non fosse stato proprio lui a ucciderlo, e questo spiegava anche come mai non avessero trovato la mazza che aveva usato per colpirlo. L'aveva riposta nella custodia della chitarra sporca del sangue dell'uomo. Ricordava bene la scena: c'era sangue dappertutto, schizzi violenti, densi mischiati a sostanze celebrali. Possibile che quell'uomo non si fosse macchiato? Fermò l'immagine tornando indietro diverse volte. Rallentando e cercando di ingrandire nel tentativo di trovare qualche traccia di sangue che confermasse che fosse lui l'assassino. Gli sembrò di vedere qualcosa sulla fodera della chitarra. Fermò l'immagine ingrandendo su quella specie di macchia scura che non si distingueva nel buio della notte. Fu in quel momento, proprio quando quell'uomo girò passando sotto la debole luce di un lampione che lo vide. Non la macchia di sangue che cercava, ma il leggerissimo riflesso dal finestrino di un'auto in sosta. Fermò l'immagine, tornando indietro lentamente cercando il punto più nitido. Avevano sbagliato tutto. Avevano seguito l'uomo senza notare quel leggerissimo riflesso proveniente da quel vetro. Si alzò repentinamente per andare nei laboratori della scientifica per cercare di migliorare quel riflesso. Se aveva ragione sarebbe andato da Martinel. Forse avevano trovato il volto dell'assassino.

***

Eliane si era svegliata a metà mattina. Stranamente era riuscita a dormire senza incubi. Si alzò guardando l'ora sulla sveglia digitale, non aveva mai fatto così tardi. Di solito si svegliava sempre presto, anzi, negli ultimi anni dormiva sempre pochissimo. Tra lo stress per lo studio e la morte di sua mamma avvenuta due mesi prima dell'esame di laurea, la sua presunta sicurezza aveva subito un durissimo colpo. A questo poi si era aggiunto quel bastardo di Bernard che l'aveva lasciata per Clodette. La cosa che le faceva rabbia maggiormente era che non si era accorta di nulla, aveva pianto sulla sua spalla, si era confidata, si era data a lui come a nessun altro, lo aveva amato profondamente aggrappandosi all'uomo che credeva che fosse. Stupida, stupida... Scacciò l'immagine di lui e immediatamente, quasi senza volerlo la sua mente ripensò alla serata trascorsa con Jean. Sembrò riaccendersi improvvisamente con un misto di piacevoli sensazioni. Rimase un po' a chiedersi se fosse il caso di affrontare in modo diverso quella situazione. Quel ragazzo stava conquistando sempre più spazio nel suo cuore e non era quello che avrebbe voluto. Ma poi esattamente lei cosa voleva? In realtà non lo sapeva nemmeno lei cosa voleva. Si alzò dal letto avviandosi verso il bagno quando il cellulare suonò facendola trasalire. Tornò verso il comodino per prenderlo "Jean" sorrise.

«Pronto»

«Buon giorno dottoressa»

La sua voce aveva un suono meraviglioso «buon giorno poliziotto» sentiva il cuore aumentare i battiti

«Hai dormito bene?»

«Si grazie tu?»

«Magnificamente anche se stamattina risvegliandomi avrei voluto trovarti accanto a me»

Lei ebbe un tonfo al cuore

«Ci stai provando poliziotto?» rispose cercando di rimettere la discussione su un piano semi serio

«Finalmente lo hai capito» rise

«Jean Dubois sei l'uomo più enigmatico che abbia mai conosciuto» rispose ridendo anche lei

Lui tornò serio dopo qualche secondo «Pensavo visto che subito dopo pranzo ti devo accompagnare al lavoro, se non hai impegni potremmo pranzare insieme e poi andare direttamente in ospedale»

Eliane si sentiva bene, come non le capitava da tanto e il merito era solo di Jean «no» rispose decisa «non andiamo da nessuna parte. Preparo qualcosa per pranzo da me e mangiamo insieme»

«Mi stai invitando a casa tua?»

«Si»

Lui sospirò «ho un po' di paura non vorrei che ti approfittassi di me?» sorrise prendendola leggermente in giro

«Tranquillo non correrai nessun rischio» stando allo scherzo «e poi ricorda quello che hai detto»

«Cosa?»

«Io sono la cura poliziotto, la cura non la malattia»

«Sto iniziando a non distinguere più la differenza» rispose sinceramente Jean

Eliane si accasciò sul letto, anche lei non riusciva più a capire cosa stava succedendo «ci vediamo per pranzo» sospirò non sapendo più come continuare la conversazione.

«Va bene, ma ti avviso che vengo armato» ridendo

«Idiota» ridendo anche lei.

© Dan Ruben

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