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Stavano lentamente percorrendo il corridoio umido della cantina quando il gracchiare improvviso del suo auricolare gli comunicò che c'era un principio di incendio al secondo piano.

«Dov'è il fuoco esattamente?» chiese agli uomini parlando al microfono

La risposta gli arrivò nell'orecchio impedendo ad Eliane di percepirla. Lei lo guardava preoccupata mentre continuavano a camminare in quel corridoio cercando di arrivare alle scale. Jean la teneva per mano come ad avere quasi paura di perderla.

«Chiamate i vigili del fuoco, cercate di spegnere l'incendio e recuperate quanti più documenti possibili da quella stanza» ordinò al microfono dell'auricolare. Poi si girò verso Eliane «una stanza al secondo piano sta bruciando, dicono una specie di archivio»

«Ci sono stata» disse lei «è la stanza dove tengono tutte le cartelle dei pazienti»

Jean la guardò «sei entrata a spiare?» chiese pensando che l'avessero presa in quel momento e per questo era legata in quello sgabuzzino

«No, in realtà mi ci stava portando un infermiere prima di addormentarmi con qualcosa» si massaggiò il collo ancora intorpidito

«Raccontami tutto dall'inizio» disse Jean mentre stavano iniziando a salire i primi gradini

«Ero nella stanza trentasei accanto al clochard senza nome, quando mi sono accorta che in quella stanza c'era anche il capitano Martin»

Jean la guardò sorpreso «sei sicura fosse lui?» chiese

Lei cambiò espressione diventando seria all'improvviso «un viso così non riuscirei a dimenticarlo fidati, Sono sicurissima»

Jean percepì la paura in quelle parole e in quello sguardo. Eliane aveva detto che il capitano Martin assomigliava a suo padre. Probabilmente la violenza e il dolore che aveva subito e che l'avevano resa ciò che era ora, derivavano da lui. Da suo padre. Ma decise di sorvolare, non era certo quello il momento di parlare delle sue paure. Quindi non disse nulla decidendo di ritornare al racconto della clinica e a quello che era avvenuto poche ore prima «poi che è successo?»

Lei sospirò come a riprendersi «nulla ho chiesto ad un infermiere di vedere alcune cartelle e lui mi ha iniettato qualcosa per rendermi incosciente e mi ha legato in quello sgabuzzino»

Erano arrivati al piano terra dove c'era la reception e l'uscita della clinica.

«Andiamo alla tua auto, sei più sicura lì dentro» disse guardando i divani al lato dell'ingresso

«Va bene»

«Dovrai fare una deposizione raccontando tutto ciò che è successo»

«Adesso?»

Lui la guardò sorridendo «no, possiamo farlo anche domani, appena ti sentirai meglio» erano usciti fuori

«Sto bene» rispose lei

«Vorrei che tu andassi a casa. Sarei più tranquillo»

«Preferirei darvi una mano»

«Non se ne parla» disse deciso Jean

«Ascolta quello che ho visto in quella stanza, le cicatrici che avevano sul corpo mi fa pensare che quegli uomini siano stati usati per prelevare loro gli organi e questo mi fa dubitare che il coma del povero clochard sconosciuto sia reale» aveva parlato in modo veloce e con enfasi nel tentativo di convincere Jean.

«Quindi cosa vorresti fare?» chiese lui guardandola

«Un prelievo, solo un prelievo per analizzare il suo sangue e un elettroencefalogramma per vedere se ho ragione»

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