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La giovane dottoressa uscì dallo spogliatoio allacciandosi il camice bianco che aveva indossato velocemente. Si avviò con passo spedito verso il corridoio del reparto rianimazione, era stata una giornata estenuante e la notte si prospettava altrettanto intensa. Doveva cominciare il turno tra pochi minuti ma prima voleva andare a vedere le condizioni del clochard che era arrivato al pronto soccorso la sera precedente. Avevano temuto di non riuscire a salvarlo quando era giunto sul lettino della sala operatoria, invece, sotto le direttive di Corelli, dopo alcune ore di intervento erano usciti da quella sala soddisfatti e felici. Eliane amava il suo lavoro, lo amava specialmente quando riusciva a salvare una vita. Qualunque essa sia. L'uomo aveva subito la rottura del perone sinistro e la fuoriuscita della spalla sinistra, lo spappolamento della milza che probabilmente era già danneggiata dalla vita che conduceva, e poi cadendo aveva picchiato la testa in maniera molto forte procurandosi un ematoma grosso come una moneta da un euro che premeva sul lobo temporale. Avevano dovuto trapanare il cranio per aspirare l'ematoma, ma nonostante il colpo violento e la vita di stenti che conduceva, quell'uomo possedeva un cuore forte e sembrava rispondere in maniera prodigiosa nelle prime ore successive all'operazione. Era sicura che ora, passato l'effetto dell'anestesia, entrando nella sua camera lo avrebbe trovato sveglio, intontito ma sveglio. Svoltò lungo il corridoio entrando nella camera di quel povero barbone. Il ronzio della macchina per l'ossigeno accesa, fu la prima cosa che sentì. Si avvicinò al lettino tastando il polso dell'uomo e poi controllando la cartelletta che era attaccata ai piedi del letto. Non si era ripreso. Gli alzò delicatamente una palpebra per vedere se c'era un qualche tipo di reazione alla luce proveniente dal corridoio. Nulla. Sembrava ancora perso nel coma che avevano indotto per non farlo soffrire. Probabilmente ci sarebbe voluto più tempo, pensò tra sé. Con un senso di frustrazione si girò uscendo dalla stanza, stava diventando troppo sensibile per quel lavoro, spostò lo sguardo in cerca del medico di reparto. Lo vide in fondo al corridoio vicino alla macchinetta del caffè e gli andò incontro «ciao» lui si voltò a guardarla in attesa «scusa se interrompo la tua breve pausa, volevo sapere se l'uomo nella stanza 21 si è per caso ripreso in qualche momento?» L'ospedale era una struttura immensa e lei aveva intravisto quel medico qualche volta ma non lo conosceva.

Il medico sembrò pensare «dici il barbone investito l'altra notte?»

«Si, lui»

L'uomo con il bicchierino di caffè in mano scosse la testa «no, non ha dato segni di ripresa».

La dottoressa corrugò la fronte preoccupata «strano sembrava rispondere bene alle prime terapie».

Il medico sospirò «magari ci vuole solo un po' più di tempo, non siamo tutti uguali» asserì, poi sorridendo «posso offrirti un caffè?»

Lei rispose al sorriso «ma si, grazie sto per iniziare il turno di notte al pronto soccorso»

Il medico mise la chiavetta nell'erogatore pigiando il numero «allora ce ne vorrà uno molto lungo e forte» sorrise con fare complice.

***

L'ispettore Martinel si alzò e uscì dal suo ufficio, aveva bisogno di sgranchire le gambe, con gli anni, e il peso del comando, si era reso conto che rimaneva troppo spesso seduto dietro la scrivania, invece un tempo le strade e i vicoli di quella città erano il suo ambiente naturale, le conosceva forse anche più di casa sua. Cercò nel corridoio l'agente Dubois trovandolo vicino alla finestra intento a leggere un giornale sportivo. Sorrise leggermente cercando di non farsi vedere, quel ragazzo un po' sbruffone era però anche molto sveglio aveva avuto modo di constatare lavorandoci accanto e gli ricordava, per certi versi, quando anche lui era così giovane, all'inizio della sua carriera nella gendarmeria. La follia di quegli anni era passata da un pezzo, quella sete di giustizia che non sempre era riuscito a colmare quando non riuscivano ad individuare un colpevole, la rabbia e la frustrazione dei troppi casi insoluti. Spesso ancora oggi i ricordi di quei momenti passati venivano a fargli compagnia disturbando il suo sonno. «Agente Dubois» chiamò con tono deciso riprendendo la compostezza del suo ruolo.

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