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Jean, uscito dall'ufficio di Martinel, trascorse gran parte della mattina a fare ricerche al computer. Per prima cosa però riordinò la scrivania. Non riusciva a pensare con chiarezza se ogni cosa non era al posto suo. Mise insieme tutte le cartelle dei pazienti che avevano salvato dall'incendio. Fece un'altra fila con i documenti vari anche quelli salvati in quell'archivio. Poi iniziò a fare ricerche al computer, scrivendo di tanto in tanto appunti inerenti a ciò che trovava. Mentre sul monitor scorrevano scritte e immagini, dispose gli appunti in un suo ordine logico, faceva meno fatica a ricordare le cose se le disponeva secondo la sua logica e soprattutto se li vedeva fisicamente. Alla fine, quando finì di compilare quel suo particolare puzzle, iniziò a cercare notizie sul chirurgo che aveva operato il clochard e che sembrava pesantemente coinvolto in quello che era successo. Carlo Corelli nato a Fucecchio in provincia di Firenze quarantadue anni fa, chirurgo di fama internazionale con alcuni master nelle più prestigiose università di medicina degli Stati Uniti. Da un anno primario di chirurgia all'ospedale maggiore di Parigi. Niente nel suo passato faceva pensare a quel particolare coinvolgimento che invece sembrava esserci. Non dava assolutamente l'idea di essere coinvolto in qualcosa di poco pulito. Filantropo e associato a molte organizzazioni umanitarie, era conosciuto per essere un uomo che aiutava il prossimo e non certo per uno che voleva arricchirsi in modo poco pulito. Jean si passò una mano tra i capelli, aveva bisogno di parlare con quell'uomo altrimenti non sarebbe riuscito a capire realmente che tipo di persona fosse. Doveva fare affidamento a quella sua particolare capacità di capire le persone. Guardò l'orologio rendendosi conto solo in quel momento che erano quasi le due. Non si era nemmeno accorto che era passata l'ora di pranzo. Eliane era già al lavoro da qualche ora. Sarebbe andato a mangiare un panino e poi avrebbe fatto un salto in ospedale per raccogliere la sua deposizione, e magari con un po' di fortuna sarebbe riuscito anche a parlare casualmente con quel chirurgo.

***

«Sta uscendo dalla palestra» gracchiò la voce dall'altoparlante. Enrich uscito da un portone con le insegne di un centro sportivo, attraversò la strada avviandosi lungo il marciapiede verso il ponte.

«Il nostro uomo è già in posizione» rispose un'altra voce

Lafitte, dentro un furgone oscurato attrezzato come una sala di registrazione, ascoltava tutta la conversazione tra gli agenti che seguivano Enrich

«Eccolo, sta andando verso la Senna»

«Non perdetelo di vista»

Enrich entrò nell'oscurità del sottopasso

«Dopo il ponte all'ingresso dei giardini c'è già uno dei nostri ad aspettarlo seduto sulla panchina» disse l'agente seduto nel furgone accanto a Lafitte.

«Appena esce lo prendo io» disse all'auricolare, l'uomo seduto sulla panchina «lascialo a me»

Enrich sbucò dal sottopasso. L'uomo alle sue spalle tornò indietro. Enrich continuò a camminare lungo il marciapiede con le mani nelle tasche del giaccone di pelle nero. L'uomo sulla panchina si alzò andandogli dietro lentamente

«è mio» gracchiò al microfono

***

Jean oltrepassò le porte a vetri che si aprirono automaticamente. Alla reception Camille indaffarata rispondeva al telefono. Sorrise, sembrava passato un secolo da quando era entrato in quell'ospedale per la prima volta. Si avvicinò. Le doveva almeno delle spiegazioni

«Ciao Camille» accennò un sorriso

Lei agganciò la cornetta e si avvicinò «ciao Jean» rispondendo al sorriso in modo un po' frettoloso. Doveva essere un brutto momento pensò lui

«Come stai?»

«Bene grazie e tu?»

«Bene» le frasi di circostanza erano finite

«Ascolta Camille volevo solo spiegarti perché non mi sono fatto più sentire» era giusto che lei sapesse

«Shhh, non devi dirmi niente, so già tutto» gli fece l'occhiolino «è su al terzo piano che sta finendo il giro delle visite»

Jean alzò gli occhi al cielo «come volano le notizie in questo ospedale» affermò con ironia poi sorridendo in modo dolce alla donna «grazie» disse voltandosi per avviarsi agli ascensori

«Un'ultima cosa» disse Camille fermandolo

Lui si voltò e ritornando sui suoi passi si avvicinò di nuovo a lei

«Eliane à una brava persona non merita di soffrire» disse guardandolo in modo serio quasi minaccioso

Lui sospirò «non soffrirà» voltandosi definitivamente per andare agli ascensori.

***

Eliane uscì dalla stanza seguita da un'infermiera. Aveva appena visitato un paziente che manifestava dolori addominali vari non sempre continui «domattina bisogna portarlo in radiologia per la lastra» disse alla donna che stava prendendo appunti. Stava per entrare nella seconda stanza per visitare un altro ricoverato quando lo vide in fondo al corridoio. Immediatamente si sentì felice senza nemmeno sapere il perché. Voltandosi verso l'infermiera si accorse di come anche la donna lo stava guardando. Doveva abituarsi al fatto che Jean non passava inosservato agli occhi delle altre donne «ci fermiamo due minuti» disse all'infermiera «vado a salutare il mio ragazzo». A quelle parole la giovane infermiera sembrò destarsi improvvisamente come colta da una scossa di corrente «va bene» rispose voltandosi con una piccolissima forma di invidia notò Eliane avvicinandosi a lui.

«Ciao, credo di aver appena fatto scoppiare di invidia quella giovane infermiera» disse lei

«Come mai?» chiese lui

«Le ho detto che andavo a salutare il mio ragazzo» sorrise

«Ah, e dov'è?» facendo finta di voltarsi indietro

«Scemo» sorrise

Lui tornò a guardarla «allora bisogna che la facciamo morire per davvero» avvicinandola a sé e baciandola

Eliane percepì una sensazione di calore allo stomaco, un brivido che attraversava il suo corpo.

Quando le loro labbra si staccarono si sentì come confusa, non si era ancora abituata a lui e al suo modo di fare, riusciva sempre a spiazzarla. Per non parlare di come la faceva sentire.

«Hai da fare?» chiese lui

«Si» rattristendosi leggermente

«Sono passato per la deposizione, ma non voglio disturbarti. Aspetterò che finisci» sorrise

«Va bene» stava per andare ma lui la fermò trattenendola ancora tra le braccia

Eliane lo guardò con sorpresa

«L'infermiera ci sta guardando ancora» sorrise lui prima di baciarla di nuovo.

Decisamente non riusciva ad abituarsi, vedendo che non c'era nessun'infermiera nei paraggi che li guardava.

© Dan Ruben

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