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Era arrivato in ufficio che il sole doveva ancora sorgere. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Da sempre aveva avuto la capacità di capire gli altri, di intuire il tipo di carattere della persona che aveva di fronte. Credeva di aver inquadrato Eliane, di aver sconfitto le sue insicurezze, invece per l'ennesima volta lei si era trincerata dietro le sue paure. Doveva aver sofferto molto in passato per essere così. Preferiva non ascoltare la verità per timore di affrontare ciò che provava, era la sua difesa contro un mondo che spesso le aveva fatto del male. Lo capiva, capiva molte cose di lei. Ma durante la notte nella sua veglia forzata, la sua capacità di analisi non si era fermata solo a lei. Cosa gli stava succedendo? Quel dolore che sentiva nel petto, quel vuoto che sembrava incolmabile a cosa era dovuto? Possibile che lei gli fosse entrata così dentro da scavare quella fottuta voragine di solitudine in modo così profondo? Era inutile nasconderlo, quello che provava per Eliane era qualcosa che non aveva mai provato per nessuna. Che fosse quello l'amore di cui tutti parlano, quello che si legge nei libri e che riempie la cinematografia di tutto il mondo? Non lo sapeva, l'unica cosa che sapeva era che stava male, per la prima volta nella sua vita si sentiva come vuoto.

Si sedette alla scrivania passandosi una mano tra i capelli. Cercando di scacciare quella tristezza che aveva nell'animo accese il computer e prese i rapporti che la squadra di sorveglianza aveva mandato alla centrale. Fece un profondo sospiro provando a trovare la concentrazione. Cercò di non pensare a lei leggendo quello che aveva fatto durante la notte il sospettato. Guardò le foto dei suoi presunti amici, erano tutti schedati. Tutti volti noti alla polizia, seguaci di movimenti di estrema destra che vaneggiavano di una presunta superiorità, che se la prendevano con il diverso, con il più debole, qualunque esso fosse facendosi forza in gruppo salvo poi scomparire come conigli quando si trovavano da soli. Conosceva bene quelle persone. Prese la foto dell'uomo grosso che aveva riconosciuto Eliane. Prese il cellulare per guardare l'ora. Era ancora presto, avrebbe atteso le nove prima di andare dal negoziante a mostrargli la foto. Se lo avesse riconosciuto avrebbe chiesto un mandato di arresto per quel paramedico, e una volta portato alla centrale lo avrebbe torchiato come si deve. Oggi era proprio dell'umore giusto per interrogare un sospettato. Con la rabbia che aveva dentro... Guardò di nuovo il cellulare. Cosa sperava? Che lei lo chiamasse? Che gli mandasse un messaggio? Si alzò con rabbia dalla sedia. Basta era finita, era inutile tornarci su. Spense il cellulare. La vita sarebbe andata avanti anche senza di lei.

***

Si era alzata dal letto con delle borse enormi sotto gli occhi. Si fece una doccia, poi cercò con un fondotinta di coprire le occhiaie. Bevve un caffè veloce senza mangiare nulla perché non ne aveva voglia e uscì per recarsi al lavoro. Si muoveva come un automa, sembrava priva di volontà. Quando arrivò, Eliane fermò la sua auto nel posto riservato che aveva nel parcheggio dell'ospedale. Doveva riprendere la sua quotidianità lasciandosi alle spalle Jean e quello che era successo. La quotidianità la rendeva sicura, e il lavoro, che amava non permetteva ai suoi pensieri di condizionarla o farla soffrire di più. Entrò in ospedale e la sua attenzione fu subito per l'infermiera che stava dietro al banco della reception: Camille. Si girò avviandosi verso gli ascensori sentendo dentro un dolore fortissimo. Poi però si fermò, doveva in qualche modo scusarsi con lei, doveva affrontarla senza scappare. Ritornando sui suoi passi si avvicinò a lei «Ciao Camille» erano amiche e non si meritava questo

La ragazza sorrise «Ciao Eliane»

«Hai due minuti? Vorrei parlarti» era tesa e agitata, ma doveva farlo. Non era una senza palle come Jean l'aveva definita, non voleva più scappare

«Dimmi» era incuriosita più che altro dall'espressione che la sua amica aveva in quel momento

Eliane sospirò «volevo scusarmi con te»

Camille sembrò sorpresa «scusarti per cosa?»

«Tu conosci Jean Dubois»

Camille la guardò con curiosità «si, conosco Jean»

Eliane deglutì come a dover ingoiare qualcosa di enorme e doloroso «in questi due giorni sono uscita con lui, mi dispiace non sapevo che stavate insieme»

Camille sorrise «Eliane io e Jean non stiamo insieme» disse sinceramente

Eliane sembrò sorpresa «non state insieme?»

«No, no siamo usciti qualche volta, abbiamo scopato, ma non c'è nulla tra noi» poi facendole l'occhiolino «e scopato da Dio se devo essere onesta, ma nulla di più»

«Io credevo che...» non finì la frase che Camille la interruppe

«Jean non è il tipo di uomo che si lascia imbrigliare se così si può dire e comunque non è il mio tipo» sorrise «certo è bello come un Dio e scopa divinamente ma non credo di voler passare la mia vita con un tipo del genere accanto. Non so se mi capisci?»

Eliane era confusa si sentiva strana e soprattutto stava iniziando a comprendere che lui non le aveva mentito e questo le metteva dentro un'ansia e una rabbia notevole.

«Comunque, non lo vedo e non lo sento da più di tre giorni» disse Camille, poi comprendendo l'enorme sforzo che lei aveva fatto nel dirle quelle cose continuò «non sentirti in colpa e grazie per essere stata onesta e sincera con me. Non è da tutte» le prese la mano stringendola forte «sei davvero una bella persona Eliane»

Lei improvvisamente si sentì come svuotata da tutto. Rivide nella sua mente come in un film le immagini della sera prima, risentì come un'eco le parole di Jean: «Io non voglio farti credere nulla e non voglio venderti niente Eliane, io ti sto dicendo cosa provo». Cosa provo? Lui le stava dicendo cosa sentiva per lei, ma lei era troppo ottusa e piena di rabbia per capirlo. Maledetta stupida aveva rovinato tutto, per le sue fottutissime paure aveva rovinato tutto.

Si avviò verso gli ascensori. Aveva davvero esagerato questa volta. Prese il cellulare dalla borsa e facendosi forza provò a chiamarlo. Non sapeva cose le avrebbe detto, non sapeva nemmeno se lui avrebbe risposto. Dopo tre squilli una voce elettronica le comunicò che la persona non era raggiungibile o poteva avere il cellulare spento. Si avviò agli spogliatoi riprovando ancora. Niente, sempre irraggiungibile. Mentre si cambiava decise di scrivergli un messaggio. Ci pensò su "Ciao Jean, volevo solo chiederti se fosse possibile vederci stasera. Mi dispiace per come ho reagito ieri, ho visto tutto nero. Lo so che ho sbagliato, ma come vedi ci sto lavorando su per cercare di migliorare anche questo aspetto. Spero che non sia troppo tardi e che tu voglia darmi la possibilità di chiarire". Più di quello non sapeva cos'altro scrivere. Si allacciò il camice e uscì per iniziare il giro di visite ai pazienti con la speranza di ricevere presto un messaggio di risposta da parte sua.

© Dan Ruben

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