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Eliane aprì gli occhi lentamente. La luce che proveniva dal bagno, era uno squarcio leggero nella penombra della stanza e della sua mente. Il buio la terrorizzava sempre. Cercò di mettere a fuoco le ombre che intravedeva davanti al letto. Jean e Camille stavano bisbigliando qualcosa. Immediatamente la sua mente per quanto intorpidita dall'anestesia e dalla stanchezza, si accese e ricordando cosa c'era stato tra i due, cercò di concentrarsi per capire cosa si stavano dicendo.

«Non è giusto quello che mi stai chiedendo di fare» Camille sembrava preoccupata

"cosa doveva fare?" cercò di rimanere sveglia "cosa le stava chiedendo?"

«Ho bisogno di avere quelle risposte»

"Quali risposte?"

«Se si scoprisse che sono penetrata in quegli archivi per reperire informazioni, io rischio il posto di lavoro»

«Se non fosse importante non te lo chiederei» Jean cercava di convincerla

"Convincerla a fare cosa?" Cercò di parlare ma quello che uscì fu solo un mormorio che però fece voltare i due verso di lei.

Jean immediatamente si avvicinò al suo letto «come stai?»

Più che alla risposta lei era interessata a cosa stavano complottando i due «cosa deve fare?» sussurrò lievemente tanto che Jean fece fatica a capire le sue parole

«Le ho chiesto di prelevare alcuni documenti dall'archivio che mi servono per le indagini» rispose «Camille mi sta aiutando nel tentativo di risolvere questo caso»

Anche Camille si avvicinò al suo letto «come ti senti Eliane?» sorridendo verso di lei

Eliane cercò di rispondere al sorriso «bene» biascicò

«Mi fa piacere» poi alzando lo sguardo verso Jean «cercherò di recuperare quelle informazioni» aggiunse prima di dare un bacio ad Eliane e uscire dalla stanza.

Rimasti soli Jean si sedette sul letto accanto a lei e le strinse la mano «mi dispiace molto Eliane, mi sento maledettamente in colpa per quello che stai passando, ho rischiato di perderti e non me lo sarei mai perdonato» gli occhi erano tristi

«Non è colpa tua» sussurrò lei «non dovevo uscire dall'auto» deglutì a fatica tanto che Jean prese la bottiglietta dell'acqua dal comodino per farla bere. Dopo che con fatica riuscì a bagnarsi le labbra e la gola lei continuò «tu mi avevi detto di aspettarti in auto, ma io avevo paura per te...» le palpebre stavano diventando pesanti. Lui notò immediatamente questo cambiamento. Si avvicinò ancor di più a lei, era felice perché questa volta era rimasta sveglia più a lungo di altre volte. Stava uscendo dal tunnel. Jean la baciò sulle labbra e un attimo prima che lei chiudesse gli occhi le sussurrò «resto qua ad aspettarti piantina di cactus» sorridendo. Lei chiuse gli occhi «non mi muovo» continuò lui e con quelle parole Eliane si addormentò serena.

***

Era nello studio di casa sua, aveva finito di cenare da qualche ora e sua moglie era appena entrata a dargli la buona notte. Aveva risposto che avrebbe finito un lavoro e l'avrebbe raggiunta subito dopo. Nel silenzio della sua casa, aveva preso il cellulare usa e getta che teneva sempre nascosto. L'accese e digitò un messaggio per tutti quelli che erano implicati con lui in quella compravendita di organi. "La clinica non è più utilizzabile" scrisse, avrebbero dovuto cercare un altro posto appena le acque si fossero calmate. "La polizia non sospetta nulla, l'incendio ha probabilmente distrutto tutte le prove che ci coinvolgevano in questo affare". Lui lo sapeva con assoluta certezza visto che tutto faceva capo a lui. "Tra qualche mese riprenderemo gli affari" perché per lui quelli erano solo affari, soldi facili fatti a danno di rifiuti della società, derelitti inutili che almeno avrebbero dato uno scopo alla loro lurida vita. Inviò il messaggio e chiuse il cellulare nel cassetto della scrivania. Si alzò dalla sua sedia e si avviò a raggiungere sua moglie. Il prefetto Gerard Delacroix avrebbe dovuto svegliarsi presto l'indomani per assistere alla messa domenicale.

***

Guardò l'orologio, erano le due e venti di notte. Non si era nemmeno reso conto dell'ora. Gli infermieri e i medici erano entrati nella stanza diverse volte per controllare Eliane, ma ormai non gli dicevano più nulla tanto avevano capito che lui non si sarebbe mosso da vicino quel letto. Era una battaglia persa, facevano i loro controlli e se ne andavano lasciandolo lì accanto a lei. Aveva passato l'intera nottata a studiare le informazioni che gli aveva fatto avere Camille e alla fine era giunto alla conclusione che agognava. Aveva un nome. Philippe Levian cinquantaquattro anni, un'insufficienza cardiaca grave dovuta ad una cardiomiopatia che alterava l'efficienza funzionale del cuore. Avrebbe dovuto essere operato il giorno dopo l'arrivo del clochard, ma una forte forma di setticemia, massiccia presenza di batteri nel sangue, aveva impedito la possibilità d'intervento. Aveva controllato i referti medici e gli esami effettuati, i cuori dei due uomini avevano le stesse dimensioni e il gruppo sanguigno era identico. Non aveva dubbi se la sua teoria era fondata Philippe Levian era l'uomo a cui avrebbero dovuto dare il cuore del clochard, ma quella improvvisa infezione aveva impedito l'intervento. Philippe era morto due giorni dopo, il cuore malato non aveva retto alla terapia per fermare quell'infezione. Immediatamente aveva cercato, entrando nel portale della gendarmeria, notizie su quell'uomo e soprattutto se avesse avuto conti in sospeso con la giustizia. Quello che trovò, anzi che non trovò, gli diede ancora più convinzione che era sulla strada giusta. Philippe Levian non esisteva, era un nome inventato. Anzi, per essere più precisi era un'identità inventata. Era un nome paravento per coprire la vera identità dell'uomo, sicuramente facoltoso e questo aggiungeva ancora altri tasselli al suo mosaico, come può un ospedale grande come quello non controllare le generalità di chi veniva ricoverato? A meno che chi effettuava quei controlli non era lui stesso coinvolto in quel giro losco. Questo ingigantiva ulteriormente il numero di chi guadagnava sulla pelle dei poveri senzatetto. Scrisse tutto su un messaggio che inviò all'ispettore. Sapeva che probabilmente a quell'ora stava dormendo, ma lo avrebbe letto l'indomani e sicuramente gli avrebbe detto come muoversi, Martinel era un grande investigatore con una notevole esperienza. Certo questo intrigo stava diventando sempre più grande e coinvolgeva sempre più persone, ma lui era sicuro che niente e nessuno avrebbe fermato Martinel impedendogli di arrivare alla verità.

Sistemò la sedia accanto a lei e si adagiò cercando una posizione comoda. La guardò con gioia per un lungo istante, poi la stanchezza lo prese e lentamente chiuse gli occhi.

© Dan Ruben

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