2016
Camminavo a passo svelto per le strade di Seoul. Controllai l'ora sull'orologio da polso per la milionesima volta.
Merda
Ero qualche minuto in ritardo, come sempre del resto. Ero stata capace di perdermi persino quella mattina: il mio primo giorno di lavoro. Tutto l'impegno che avevo impiegato per prepararmi, era servito ben poco dato che stavo praticamente sudando come un corridore durante una maratona. Inoltre il peso della mia borsa non aiutava, sembrava che ci avessi buttato dei mattoni; il mio book pesava come un macigno. Mi era stato chiesto espressamente di portare le foto dei miei lavori con me, così da mostrarle alla capo-costumista.
Prima di partire per la mia nuova avventura, avevo inviato il mio curriculum a qualsiasi agenzia, azienda, sartoria che avevo trovato online, perdendone persino il conto. Venni contattata dal manager di una di queste, qualche giorno prima del volo per la capitale e non avevo idea di quanto fosse importante quell'agenzia, così avevo spulciato un po' su google. Lessi un'articolo che riguardava dei certi BTS, il gruppo di cui più si vantavano perchè avevano raggiunto degli obbiettivi fantastici a livello mondiale, a quanto scriveva il giornalista. Non avevo dato troppo peso a quelle informazioni: dovevo cucire, non diventare fan di qualche idol che promuovevano come una nuova marca di cosmetici. Il colloquio era stato molto breve, ma intenso: "Da domani sarai in prova per tre mesi", mi aveva detto il direttore barbuto. Potevo vantarmi del fatto che una buona parte l'avevano giocata i miei studi e le mie origini italiani. In Corea tutti avevano questa strana idea che un qualsiasi italiano medio fosse abile in ogni ambito.
Con il fiato corto, giunsi davanti alla scalinata che conduceva all'interno dell'edificio, il cui nome era scritto a caratteri cubitali sopra l'ingresso: Big Hit Entertainment. Salii le scale cercando di recuperare fiato e, prima di varcare le porte automatiche, controllai il mio aspetto con un piccolo specchietto tascabile. Sollevai sopra la fronte gli occhiali senza lenti, che circondavano i miei occhi azzurri, per verificare che l'eyeliner fosse al suo posto. Mentre passavo in rassegna le mie labbra tinte di rosa antico, alle mie spalle intravidi un albero oscillare pigro sotto la leggera brezza primaverile.
Un ciliegio in piena fioritura agitava i suoi rami a mo' di saluto, disperdendo nell'aria i suoi delicati petali rosei. In un angolo profondo della mia mente qualcosa si stava facendo spazio tra i ricordi, ma avevo troppa fretta per pensarci su. Mi catapultai nella sala, indicatami dall'addetta della reception; fortunatamente in orario e la maggior parte delle persone presenti mi guardò sorpresa. Accadeva spesso quando incontravo per la prima volta dei coreani, mi squadravano dalla testa ai piedi e poi mi sorridevano entusiasti. Inoltre appena dicevo loro che ero italiana, impazzivano come bambini davanti ad un nuovo giocattolo e mi tempestavano di domande.
Quella mattina successe lo stesso, prima di mettersi a lavoro. Dopo circa un'ora di osservazioni e spiegazioni, mi sentivo confusa e spaesata. Cercavo di captare il più possibile prendendo appunti sul mio fidato taccuino di cuoio. Notai delle giacche appese su una rella, perfettamente stirare e sistemate: avevano una meravigliosa fattura e mi domandai se sarei stata capace di fare altrettanto.
- Belle queste giacche, vero? Le abbiamo appena terminate, infatti oggi verranno i ragazzi per provarle. - disse la coordinatrice compiaciuta del lavoro del suo team.
Infatti una ragazza con un auricolare annunciò: - Stanno salendo. -
Poco dopo entrarono nella stanza sette ragazzi che si chinarono, come telecomandati da qualcuno, per salutare lo staff. Nessuno di loro si accorse della mia presenza perchè mi stavo nascondendo dietro ad una rella carica di vestiti. Ero solita parlare senza timore agli estranei, potevo attaccare bottone persino con i barboni per strada, ma questa volta mi sentivo le gambe di gelatina. La coordinatrice mi richiamò con un cenno della mano e fui costretta ad avvicinarmi, intenta a contenere l'agitazione.
- Ragazzi, c'è una novità. - esordì Yun con un sorriso a trentadue denti.
Tutti e sette si voltarono verso di noi con l'espressione curiosa e subito dopo sorpresa. Mi tremarono le ginocchia e pregai che non si notasse.
- Si chiama Diana, è una sarta in prova. Loro sono i BTS. Siate gentili, per favore. - scherzò per togliere l'imbarazzo.
Si posizionarono a mo' di semicerchio davanti a noi, come per assistere ad uno spettacolo di un'artista di strada.
- Ma Diana come Lady D? - Mi chiese il più alto dai cappelli color menta e dallo sguardo sveglio.
- Si, ma si legge all'Italiana. Come Diana, la dea romana della caccia. - rispondevo sempre in quel modo quando mi chiedevano chiarimenti; mi piaceva l'idea che il nome fosse legato alla mitologia che tanto adoravo.
Lanciai un'occhiata veloce su ognuno di loro, dopo che si inchinarono ed io li imitai. Non li avevo osservati attentamente, ma recuperai quando pronunciarono i loro nomi uno per uno. Il mio cervello era letteralmente in pappa, poteva mangiarlo un neonato come omogeneizzato, e non riuscivo a riconoscermi. Soffermai lo sguardo su uno di loro, soprattutto su un castano, i cui i suoi muscoli tonici spuntavano dalle maniche corte della maglia. Era di una bellezza fuori dal comune e gli altri non erano da meno, ma l'ultimo della fila richiamò il mio interesse: era il più basso, aveva i capelli scuri un poco spettinati e le labbra carnose. Il suo volto pallido era illuminato dalla stoffa lucida del bomber, arricchito da palme nere su uno sfondo arancione, che indossava con disinvoltura. Avvertii un formicolio all'altezza dello stomaco mentre guardavo i suoi occhi a mandorla.
- Sono Park Jimin. - pronunciò con un sorriso tirato, poi si passò nervosamente una mano tra i capelli neri come la pece.
Per poco non persi l'equilibrio al suono di quel nome. La mia mente non riusciva e non poteva crederci. Non vedevo Jimin da sei anni e lo ricordavo ancora come quel ragazzino paffuto e buffo con il quale passavo praticamente 24 ore al giorno, sette giorni su sette. La sua mancanza era stata talmente dolorosa che avevo imparato a dimenticarlo, ma non ero mai stata capace di sostituirlo.
Mi rimproverai in silenzio: avevamo 21 anni, naturalmente eravamo cresciuti entrambi; come potevo pretendere che fosse lo stesso ragazzino? Rimasi immobile per un momento, poi mi sedetti come un automa, mentre provavano le giacche che avevo ammirato poco prima.
Come ho potuto non riconoscerlo? Sono una stupida.
Quel formicolio era stato un segnale e io non lo avevo colto. Non credevo nelle superstizioni, ne alle coincidenze o al fato, ma quella strana reazione anticipata del mio corpo mi insinuò qualche dubbio. Lanciai delle occhiate fugaci a Jimin mentre era distratto dalle mie colleghe e notai subito una differenza rispetto al passato: le sue spalle erano perfettamente dritte. Da adolescente tendeva sempre a camminare chino come se dovesse nascondersi per paura di essere giudicato dagli altri, ma in quel momento sembrava esprimere l'esatto contrario.
Mi studiai le scarpe che feci cozzare l'una sull'altra ripetutamente e sorrisi.
Sei davvero cresciuto.
"Not all of this is a coincidence." - DNA
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Buonasera!
Non ho avuto molto tempo per stare al pc, ma recupererò. Su un'altra piattaforma sono già al cap 17, quindi devo sbrigarmi per raggiungere quel punto. La lunghezza dei capitoli è sempre questa più o meno, spero non vi dispiaccia..
Grazie a chi leggerà <3
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꧁La Città di Smeraldo꧂ p.jm. {CONCLUSA}
FanfictionDiana è una ragazza dalle origini italiane che ha vissuto a Busan, il suo migliore amico si chiamava Jimin e la abbandonò all'età di 15 anni per inseguire il suo sogno a Seoul. Tra varie peripezie, i due non hanno più notizie e si rincontreranno 6 a...