2018
[Jimin POV]
Taehyung mi disse di aver ricevuto una chiamata da Diana, la quale chiedeva spiegazioni sulla canzone. Avevo fatto spallucce, mi interessava poco e nulla; o almeno così pensavo. Lui aveva insistito, spiegandomi che la mia ex migliore amica cercava sempre di informarsi sulla mia salute, sembrava che volesse farmi sapere quanto fosse preoccupata per me. Ma io stavo imparando a sopravvivere senza di lei, anche grazie ai membri. Solo in quei momenti mi ero reso conto di quanto fossi dipende dalla sua amicizia. Tentavo di andare avanti con le unghie e con i denti, ma forse stavo solo facendo del male a me stesso.
Ogni volta che sentivo l'odore amaro del caffè, rivedevo Diana che sorseggiava la sua bevanda amara con soddisfazione e mi sorrideva dietro la tazzina. Avevo provato a farmi piacere quel sapore, ma ogni volta che lo assaggiavo, facevo delle smorfie che la facevano ridere di gusto. La sua risata non ero mai riuscito a dimenticarla. Il tatuaggio che avevo sempre custodito sotto il calzino, era scomparso per me; evitavo persino di guardarlo quando mi toglievo lo scarpe.
Uno squillo del cellulare mi spinse a controllare controvoglia la notifica ricevuta: mi ricordava che quella sera avevo un appuntamento. Avevo conosciuto una ragazza dalle origini inglesi, bella e solare che riusciva a farmi dimenticare i miei problemi per qualche ora, così attesi il suo arrivo sul divano, sfogliando la galleria del mio cellulare. Sorrisi mestamente, quando aprii una foto di molti mesi prima che ritraeva Diana addormentata su quello stesso divano. Avevo trattenuto a stento la mia risata con una mano sulla bocca, mentre premevo il tasto dello scatto. Indossava la mia felpa preferita, rubata dal mio armadio senza permesso. Il suo viso era rigato da segni rossi per colpa della cerniera del cuscino ed un rivolo di saliva usciva dalla bocca spalancata. Una volta sveglia, le avevo mostrato la mia opera d'arte ed era stato difficile impedirle di eliminarla. Dopo una dura lotta, degna dei lottatori di Sumo, eravamo finiti a terra con il fiato corto. Mi aveva preso la testa tra le mani e mi aveva baciato la fronte per un lungo istante. L'avevo trattenuta sopra di me per spostarle una ciocca corvina dietro l'orecchio. Avevo studiato le sue iridi nei minimi dettagli quel pomeriggio: un oceano blu macchiato dalla spuma chiara delle onde. Mi ci sarei tuffato senza rimpianti.
Una sola foto mi provocava quell'effetto, mi sorpresi ancora dei sentimenti che non volevano mollarmi.
Per fortuna la mia ospite arrivo in orario altrimenti avrei iniziato a sbattere la testa contro al muro, pur di eliminare quella tristezza. Nessuno di noi due indugiò, ci dirigemmo in camera sicuri sul da farsi. Prese possesso delle mie labbra avidamente, quando la ancorai contro la porta chiusa. Per un momento mi sembrò di aver già sentito quel tocco morbido, ma scacciai quei pensieri fastidiosi. Mi lasciai percorrere la pelle con le sue labbra dalla guancia fino alla clavicola, quello stesso tragitto che qualcuno aveva già attraversato. La allontanai con una leggera spinta, mentre stringevo le palpebre nel tentativo di cancellare quel ricordo.
Faceva male, troppo male.
Lei mi guardó con aria confusa e mi chiese se stessi male. Mentii, dicendole di aver avuto un capogiro e decisi di prendere il controllo della situazione. Poco dopo ci ritrovammo immersi tra le mie coperte gonfie come nuvole cariche di pioggia, ansimanti e soddisfatti. Avrei potuto vederla di nuovo, ma mi ricordava troppo il passato, così non la cercai più.
Per fortuna, a volte riuscivo a distarmi con una delle mie passioni: il ballo. Ripresi in mano la danza moderna che avevo accantonato da un po'. Mi immergevo nella musica come in un bagno caldo; stranamente riuscivo a rilassarmi. Svuotavo la mente ad ogni passo, mentre osservavo il mio riflesso nel grande specchio davanti a me. Quel giorno prestai attenzione a qualsiasi movimento, cercando di essere preciso e controllato. I vestiti leggeri che avevo scelto, danzavano insieme a me nell'aria come prolungamenti del mio corpo. Quando la musica si spense, guardai la mia immagine riflessa ansimante e stremata: ero patetico. Più rimanevo in piedi ad osservare il mio corpo fradicio, più la rabbia aumentava. Sbattei le mani contro lo specchio con forza ed abbandonai la testa verso il parquet della sala. Non riuscivo a calmare il mio fiato corto, così cercai di espandere i polmoni il più possibile, ma respiravo sempre peggio.
- Jimin, tutto bene? Ho sentito un botto e... - la voce di Jungkook si interruppe e corse verso di me. - Jimin? - mi richiamò, scuotendo appena le mie spalle rigide.
Tentavo di prendere aria, ma la mia gola sembrava non accettare tutta quella quantità di ossigeno e continuava a chiudersi. Jungkook capì subito la situazione e mi costrinse a sdraiarmi sul pavimento, mentre mi diceva di rimanere calmo. Stava per andare a prendere la maschera per l'ossigeno, quando finalmente ripresi un po' di controllo su me stesso. Avevo portato il mio corpo allo stremo, era esausto e ne pagavo le conseguenze.
- Non puoi sovraccaricarti così. - mi rimproverò il più piccolo.
- Lo fai anche tu. - dissi tra un respiro e l'altro.
- Appunto. So come ci si sente. -
- Non dirlo agli altri, non voglio che si preoccupino. -
Mi aiutò ad alzarmi e mi sostenne per un momento, finchè non fui sicuro del mio equilibrio.
- Non riesci a dimenticarla, vero? - domandò piano.
La risposta era talmente ovvia che la tenni per me. Sulla spalla del mio amico piansi tutte le lacrime che avevo trattenuto in quei tre mesi.
"Why did you kick me out?" - 134340
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Buonasera <3
Sono un po' incasinata in questi giorni, per cui andrò un pochino a rilento. Soprattutto con Housemate, sorry ;;
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, fatemelo sapere <3
*mi faccio 29308230847 mila paranoie*
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꧁La Città di Smeraldo꧂ p.jm. {CONCLUSA}
FanfictionDiana è una ragazza dalle origini italiane che ha vissuto a Busan, il suo migliore amico si chiamava Jimin e la abbandonò all'età di 15 anni per inseguire il suo sogno a Seoul. Tra varie peripezie, i due non hanno più notizie e si rincontreranno 6 a...