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Erano passate solo due settimane e Jimin aveva già assistito a due visite neurologiche.
La malattia era stata diagnosticata come "sclerosi laterale amiotrofica" o più comunemente chiamata SLA.
Inutile dire che la giovane donna era scoppiata in lacrime ed il cuore a pezzi, mentre al contrario il ragazzo era rimasto immobile davanti allo sguardo del dottore; pensava non ci fosse niente da piangere poiché il colpo più grande a cui cercare di resistere era stata la notizia iniziale, del "si tratta di una malattia degenerativa", insomma di qualsiasi malattia si trattasse portava comunque sulla stessa strada. Non ce n'era una migliore, con cure che inducevano alla guarigione, perciò perché disperarsi?
Piangere non sarebbe servito a farlo guarire ed a riportarlo a qualche mese fa, quando ancora stava meravigliosamente bene.
Avrebbe vissuto ancora per poco forse, con un po' di fortuna sarebbe riuscito a compiere il sue ventiquattresimo anno di età.
Non avrebbe potuto inseguire il sogno che si portava dietro fin da bambino, quello di diventare un ballerino moderno, oppure quello di visitare il mondo, in particolare l'Europa.
In quelle ultime due settimane non aveva fatto altro che pensare a tutto questo, agli obiettivi della vita.
Era arrabbiato, con se stesso, con il mondo che era tutto fuorché giusto. Venivano punite sempre le persone buone e non chi faceva del male, chi se lo meritava sicuramente più di lui.
Jimin non lo meritava neanche minimamente.
Era solo un giovane ragazzo come tutti gli altri, con sogni e passioni che gli sarebbero state portare via presto ed alla velocità della luce.
No, non se lo meritava.
Due settimane senza aprire bocca, solo per mangiare quando ne sentiva la necessità.
Il dottore in quell'arco di tempo gli aveva prescritto delle medicine che servivano per ritardare e bloccare temporaneamente la malattia, ma tutti erano consapevoli che il dolore sarebbe comunque stato inevitabile.
In realtà Jimin stava già iniziando ad avere problemi a camminare, sentiva un dolore nella parte femorale e talvolta le gambe perdevano la forza.
I genitori si chiesero più volte il motivo per cui la malattia era così progressiva; in soli quindici giorni aveva cominciato a sentire i muscoli più deboli ma il dottore aveva semplicemente risposto che era dovuto ad un fattore soggettivo.

-Penso che sia arrivato il momento di chiedere aiuto a qualcuno, una persona che si occupi di lui giornalmente, che gli faccia compagnia. Noi per quanto ci proviamo, con il lavoro e tutte le faccende non possiamo.-

Jimin qualche mese prima aveva comprato una casa non molto lontana da quella dei suoi ma comunque molto vicino ad un laghetto.
Stando ai suoi obiettivi sarebbe dovuto andarci a vivere in quei giorni e invece si ritrovava ancora steso sullo stesso divano con il quale era cresciuto, in casa dei suoi genitori a sopportare le parole che essi si stavano dicendo.

-Non voglio nessuno. Provate anche solo a portarmi in casa uno sconosciuto che si finga il mio badante e non vi parlerò più per il resto della mia inutile e breve vita!- urlò per quanto gli fosse possibile poiché negli ultimi giorni era diventato difficoltoso anche respirare.
Jimin aveva subito una trasformazione che l'aveva portato ad essere una persona completamente differente da quella che era sempre stata. Tutto ovviamente era successo per causa della diagnosi precoce. Ma chi poteva biasimarlo?
C'era chi piangeva finché non arrivava alla disidratazione, chi delirava e spaccava qualsiasi oggetto si trovasse davanti e chi invece si chiudeva in se stesso senza far uscire nessun'emozione.
Jimin si rispecchiava totalmente nel terzo caso descritto.

-Jimin tesoro, tu adesso non puoi più stare da solo neanche un minuto, lo capisci? Se cadessi e ti facessi del male mentre sei da solo... cosa potrebbe succedere? Non sappiamo se potrebbe essere un danno in più per il tuo fisico- spiegò la madre dopo essersi avvicinata al divano per raggiungere il figlio e mettersi seduta accanto alla sua figura che restava semi-seduta. Fece un grande respiro, poi avvolse le braccia in un forte abbraccio pieno di amore e di conforto, senza lasciare il tempo al ragazzo di ribattere.
Quest'ultimo si lasciò stringere nonostante non lo ricambiò.
Lei capiva quanto difficile potesse essere, sia per loro che per Jimin che la stava vivendo in prima persona però non aveva nessuna colpa se si era ammalato e lo trovava inutile il fatto che non le rivolgesse la parola, né a lei né al padre.
Avrebbero dovuto sfruttare tutto il tempo che avevano a disposizione per poterlo passare con lui - escludendo quei momenti in cui sarebbero stati impegnati - ma il ragazzo non dava loro la possibilità e ciò faceva soffrire i due genitori.
Lei in particolare era frustrata quanto il figlio, ma pensava non avesse senso rimanere a piangersi addosso, piuttosto che vivere al meglio anche solo quei pochi mesi che gli sarebbero rimasti. E anche se in realtà Jimin non si stesse piangendo addosso, si stava comunque comportando in modo poco opportuno per un malato terminale.

Little world || jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora