dieci

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All'interno dell'ospedale c'era sempre stato un odore che a Jeongguk metteva i brividi, gli faceva salire l'agitazione e la maggior parte delle volte quando arrivava non poteva rimanerci più di un tot di tempo.
Lì dentro ci aveva perso un fratello, il motivo? Cancro al cervello.
Era fin troppo piccolo all'epoca, quando con sua madre andavano a trovarlo e ci rimanevano per gran parte della giornata dopo esser uscito da scuola.
Aveva solo 6 anni ed il fratello appena 11.
Jeongguk ogni volta che entrava in quell'ambiente e sentiva quell'odore, automaticamente ripensava a quei brutti momenti, gli ultimi in cui aveva vissuto l'unica persona di sesso maschile che avesse mai amato.
Un bambino di appena 11 anni che aveva combattuto a lungo per sconfiggere quella malattia era anche più di un semplice bambino.
Nonostante quel male lo avesse portato via dai suoi cari ed aveva avuto la meglio su di lui, per il fratellino più piccolo sarebbe rimasto per sempre un eroe.
Quel momento però non era quello giusto per pensare a ciò che aveva dovuto passare anni ed anni prima, infatti tornò subito con la mente alla realtà e si dedicò totalmente nel cercare Jimin.

-Salve mi scusi, hanno appena portato in ambulanza un ragazzo, Park Jimin. Sa dirmi dove posso trovarlo?- chiese impaziente al box informazioni appena davanti all'entrata.
La donna rimase ad osservarlo prima di far uscire dalle labbra quella fastidiosa domanda: "è un parente?"
E siccome Jeongguk non voleva rischiare di non passare mentì; non era la prima volta che lo faceva e di certo non si vergognava a farlo proprio adesso.

-Sì sono il cugino, Jeon Jeongguk- rispose con così tanta convinzione che la donna non gli chiese neanche il documento o qualcosa che potesse certificare il loro legame di parentela.
Indicò dunque l'ascensore ed alzò le sopracciglia come a dargli il permesso di passare.

-Secondo piano a destra, stanza 221.-

Jeongguk in un attimo si ritrovò davanti all'ascensore ma quest'ultimo non sembrava voler arrivare perciò, stufo di aspettarlo a causa dell'impazienza e della preoccupazione per Jimin, si precipitò su per le scale, salendole ogni due in modo da arrivare prima.
Quando arrivò al reparto interessato non si sentiva affannato e sicuramente la sua resistenza era dovuta a tutto il tempo che impiegava nell'allenarsi e nel ballo.
In poco tempo trovò la camera in cui Jimin sembrava esser stato ricoverato, dunque si avvicinò piano e con cautela, bussando alla porta d'ingresso poiché era chiusa.
Ad aprirgli fu il signor Park che in seguito gli mostrò un sorriso rassicurante e tornò verso la moglie seduta al fianco del letto su cui era steso il ragazzo.

-Jimin è arrivato Jeongguk- disse l'uomo catturando l'attenzione delle altre due persone nella stanza, alché la donna si alzò e si avvicinò al ragazzo più giovane, portando una mano sul suo braccio.

-Ha chiesto di te, vi lasciamo un po' soli, d'accordo?-

Jeongguk semplicemente annuì alle sue parole, sentendo un lieve tremolio al cuore quando venne a sapere che Jimin aveva chiesto della sua presenza; questo lo rendeva felice e non sapeva neanche il perché.
Probabilmente si trattava solo della soddisfazione che provava nel sapere che quel ragazzo stava bene in sua compagnia.
Aspettò dunque che i due genitori fossero usciti ed avessero chiuso la porta, prima di raggiungere la sedia su cui era stata seduta la signora Park fino a qualche istante precedente.
Si accomodò e portò istintivamente una mano su quella del ragazzo più grande, facendo un po' di pressione cercando di infondergli calore nel sentirla fredda.

-Ciao- sussurrò Jimin, guardando il ragazzo con un dolce sorriso e gli occhi leggermente socchiusi.
Sembrava davvero sollevato di vederlo lì vicino a lui; dentro di sé Jimin ammise che Jeongguk gli era mancato nonostante non fosse passato molto da quando si erano visti l'ultima volta.

-Ehi piccolo, come ti senti? Che è successo?- domandò osservandolo in viso; lo vedeva stanco e leggermente più pallido del solito - anche se in realtà Jimin aveva sempre avuto quella tonalità di pelle fin dalla prima volta in cui si erano visti.
Il più grande girò la mano con goffaggine in modo da poter fare intrecciare le sue dita insieme a quelle del ragazzo e quest'ultimo strinse ancora di più la presa ma senza fargli male, felice di quel suo gesto.
Comunque Jeongguk l'aveva chiamato "piccolo" e Jimin non aveva obbiettato, aveva fatto semplicemente finta di niente ma il ragazzo dai capelli scuri aveva avvertito che non l'aveva ignorato per disagio; poteva percepire attraverso quel contatto fra le loro mani quanto fosse tranquillo in quel momento e ciò faceva rilassare anche lui.

Little world || jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora