sette

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Dopo la prima prova nella sala personale di ballo di Jimin, i giorni per quest'ultimo sembravano essere passati molto più veloci rispetto a quelli precedenti e ciò faceva capire che anche Jeongguk aveva fatto il suo lavoro, portandolo quasi ogni pomeriggio a dedicare almeno un'ora di tempo alla sua passione.
Jeongguk, che inizialmente, quando aveva accettato quel lavoro, aveva avuto paura di non riuscire a ritargliare un po' di spazio per lo studio, invece aveva superato altri due esami uno dietro l'altro e anche quando stava in compagnia del ragazzo più grande, quando magari lui dormiva, Jeongguk ne approfittava per studiare.
Quella mattina però non andò come tutte le altre per Jimin.
Si era svegliato con una mano rigida ed inizialmente aveva cercato rassicurazioni nel fatto che probabilmente poteva essere solamente indolenzita perché l'aveva tenuta sotto il proprio corpo ma quella, passata un'ora non aveva avuto l'intenzione di muoversi; le dita sembravano intorpidite, proprio come se volessero chiudersi ma non ci riuscissero. Ed il suo polso tremava, reazione dovuta alla forza che Jimin impiegava per riuscire a chiudere il pugno senza però alcun risultato.
Così avevano fatto meta in ospedale, precisamente al pronto soccorso poiché non avevano una visita fissata e non avevano idea se il neurologo che lo teneva in cura fosse di turno.
Aveva parlato con un altro dottore, di cui Jimin però non si ricordava il nome.
Non aveva ricevuto ottime notizie ma non si era meravigliato più di tanto, dato che comunque era consapevole che la malattia sarebbe andata a peggiorare, solo che non si aspettava proprio quella mattina.
Con Jeongguk stavano preparando una coreografia, ed anche se era molto difficile per lui ballarla in una situazione del genere, faceva quel che poteva, quindi se i suoi muscoli avessero cominciato a bloccarsi già da quel momento non avrebbe potuto neanche più alzare un dito e non ci sarebbe stato il tempo necessario per completarla.
Quando erano tornati a casa il ragazzo si era rifugiato nella sua stanza senza avere la minima voglia di parlare o vedere nessuno.
Anche le sue gambe stavano iniziando a diventare più rigide, infatti il signor Park gli aveva chiesto più volte di utilizzare la sedia a rotelle ma Jimin ancora una volta si era opposto, quasi come se avesse avuto il timore di non riuscire più ad alzarsi se si fosse seduto su di essa.
E mentre stava rannicchiato nel suo letto pensava e pensava, faceva scorrere la mente e la riportava ai momenti più belli, come se volesse evadere da quello che era uno schifo di realtà, ricordandosi di ciò che lo faceva stare bene.
Ripensò alla prima volta che aveva conosciuto Hoseok alla prima lezione di danza, dove dei ragazzini avevano cominciato a prenderlo in giro perché pensavano fosse troppo paffuto per uno sport del genere ed il suo amico l'aveva difeso, facendo scappare quei mocciosetti con la coda tra le zampe.
Ripensò alla prima coreografia che avevano inventato, quella che qualche giorno prima aveva proposto a Jeongguk di ballare insieme a lui.
E forse ci sarebbe anche riuscito ad evadere con un po' di impegno in più, ma il bussare della porta gli fece distogliere l'attenzione dai suoi ricordi, così si sforzò di sollevare il collo per poter guardare in direzione dell'ingresso.

-Non ho voglia di vedere nessuno- borbottò semplicemente, prima di lasciarsi cadere nuovamente con la testa sul cuscino, quasi come ad affondarla nella federa.
Dall'altra parte sentì la voce soffice di Jeongguk che, in altre giornate gli avrebbe scaldato il cuore ma quello non si trattava di un semplice pomeriggio come tutti gli altri.
Era distrutto, non solo fisicamente ma soprattutto psicologicamente.
Prima d'ora non si era presentato nessun sintomo grave da farlo spaventare troppo; sì, i primi tremolii alle mani e qualche contrazione muscolare che avevano permesso di diagnosticare la sua malattia, poi il giorno in cui era scappato di casa a farsi a piedi tutto il percorso per arrivare alla sua sala da ballo, quando aveva provato affanno.
Quest'ultimo probabilmente era stato dovuto ad un semplice fattore legato alla stanchezza, all'agonia ed alla tristezza, emozioni che tutte insieme l'avevano avvolto e travolto completamente.
Jeongguk comunque aveva parlato, rispondendo con un "sono io" ma Jimin questa volta l'aveva ignorato, preferendo il silenzio e la solitudine.
Ma ovviamente il ragazzo più piccolo era curioso di sapere come mai quel giorno stesse così, anche se nella maggior parte dei casi glielo avevano detto i genitori e Jimin ne era consapevole.
Al non udire risposta Jeongguk abbassò la maniglia della porta d'ingresso ed in silenzio fece un passo avanti arrivando subito dopo a fianco al letto, dove si sedette sul bordo e rimase ad osservare la schiena del più grande poiché questo gli stava dando le spalle.

Little world || jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora