Ilvermorny

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Pensava, anzi sperava, che quegli esperimenti fossero finiti, che avessero ottenuto tutto quello che volevano, che Azkaban fosse l'ultima frontiera delle torture.
Ma si sbagliava di grosso.

Dopo aver ripetutamente rassicurato gli auror e Seraphina Picquery che Rabastan non le aveva fatto alcun male, e che non ne aveva neanche avuto intenzione, la riaddormentarono.

Non sapeva se l'avevano riportata al Macusa. Non sapeva se era mattina, pomeriggio, sera o notte. Non sapeva quanti giorni erano passati o se tutto quello era stato solo un sogno.

Sapeva soltanto che il tipo che la stava guardando era a lei sconosciuto e che la sua espressione non le piaceva proprio.

L'uomo indossava un camice bianco da dottore. Niente guanti, niente mascherina o cuffia per i capelli. Solo il camice.
Era pallido, molto pallido. Non di quel bianco tipico delle persone del nord. Era più una carnagione che andava sul grigio.
Aveva capelli neri, occhi marroni. Una palpebra faticava a rimanere aperta mentre l'altra non accennava nessun movimento. Neanche un semplice battito di ciglia.
Le labbra erano sottili, rosse come il sangue. La bocca aperta in un sorriso smagliante a trentadue denti, completamente bianchi e dritti.

Altair lo fissò a lungo, non aveva l'aria di uno pressoché normale.

Si guardò attorno, sperando che ci fosse qualcun altro ma la stanza era vuota, illuminata da una misera lampadina che  emetteva, a scatti, una spettrale luce blu.

Altair era legata ai polsi e alle caviglie da cinte ci cuoio alla branda su cui era distesa. A lato si trovava un tavolino di metallo con sopra alcuni attrezzi da chirurgo. Riconobbe la forbice lunga, uno specchietto, una pinza, degli aghi e... Vari coltelli da cucina più dei taglierini.

-Bene bene... Altaaair- l'uomo aveva una voce acuta, secca e da vecchio
-É da tanto che ti aspettavo- parlava molto lentamente e il sorriso non scompariva mai dal suo volto scheletrico
-Ti chiederai dove siamo. Questa é una stanza sotterranea nei pressi della scuola di Ilvermorny. In pochi la conoscono e questi pochi narrano una leggenda: secondo alcuni, Isotta, una dei fondatori della scuola di Ilvermorny, fece questa stanza a insaputa di tutti, nascondendoci le ceneri di sua zia Gormlaith. E proprio sopra questa stanza si trova l'albero che nacque dalla bacchetta di Gormlaith. Bacchetta che, oltretutto, era quella di Salazar Serpeverde. Non conosci Isotta e Gormlaith? Ti racconterò la storia più tardi- disse infine girandosi verso il tavolino -adesso dobbiamo lavorare... - disse tra una risata e un colpo di tosse prendendo in mano un ago sottile e lungo e attorcigliando la fine a uno spago rosso. Poi, prendendo un coltello da cucina di quelli che servono per tagliare il salame, iniziò a rompere a colpi secchi le cinghie che legavano Altair, producendo un terribile rumore della lama contro i tubi di acciaio della branda. Altair temeva che le avrebbe tagliato un arto da un momento all'altro ma per fortuna non fu così.
Prese Altair per un braccio e la fece stare in piedi.
-Oh, ma che sbadato, non mi sono nemmeno presentato. Io sono il dottor. Amadeus Ariston, ex chirurgo di North Bay, città del Canada. Sono un mezzosangue e ho studiato qui, a Ilvermorny, ma poi ho deciso di specializzarmi in chirurgia. Mi piace molto anche disegnare ed é proprio per questo che mi hanno preso al Macusa per questo lavoro.
Loro sapevano già del mio "disturbo" se così si può chiamare. Alcuni credono che io sia pazzo ma vedi, la mia logica é questa: se i babbani pensano che anche i tatuaggi siano una forma d'arte, perché non questa? E così il Macusa ha deciso di affidarmi questo compito speciale-
Altair lo guardava immobile. Non capiva a cosa l'uomo si stesse riferendo ma quegli "attrezzi" le davano un'idea.

-Reggi questo, per favore- le disse dandole in mano un coltello con la lama seghettata di quelli che si usano a tavola.
Poi fece comparire uno specchio.
-Guarda lì- le disse indicandolo
-Che vuole fare?- chiese Altair cercando di nascondere la paura
-Soltanto il mio lavoro, piccola-
L'uomo le puntò la bacchetta con uno scatto fulmineo e in quello stesso momento la ragazza perse totalmente il controllo dei suoi movimenti.
-Bene. Ora che sei docile come un cucciolo di cane morto, possiamo cominciare. Togliti pure la maglietta cara. Sai i numeri romani, vero? Spero proprio di sì, mi sembrerebbe strano che qualcuno che é cresciuto coi babbani non li conosca. Perfetto, ora che hai il fianco libero devi solo tracciare, col coltello che ti ho dato, il numero tredici, coi caratteri romani, ovviamente-
Altair voleva ribattere, buttare quel tizio fuori di testa a terra e disegnare a lui il tredici in romano, ma sulla gola. Solo che non riusciva a muoversi, alcune cose non le sentiva nemmeno. Le sembrava di essere in trans.
-Allora, ti piace come idea? Non dici nulla, eh. Va bene, lo prendo come un si. Cominciamo- le puntò di nuovo la bacchetta e il braccio di Altair si mosse da solo verso il fianco. La lama del coltello passò lentamente sulla carne, lasciando dietro di sé un taglio fine e diagonale dal quale il sangue iniziava a colare. Altair guardava il suo riflesso nello specchio intagliare la X sul proprio fianco sinistro. Il male che provava era atroce, bruciava e infiammava. Ma la ragazza non poteva fare nulla per evitare quella tortura.
Il coltello passò alla seconda diagonale della X.

Altair: l'aquila volanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora