1-Safety issues!?

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Continuavo a prendere a pugni il sacco da boxe che avevo di fronte. Nonostante le mie mani mi stessero supplicando di darci un taglio, non mi fermavo: non volevo farlo!

Destro, sinistro, gancio destro, calcio medio sinistro. Continuai il mio schema finché non fui interrotta da qualcuno che si schiariva la voce per attirare la mia attenzione.

Smisi di colpire il sacco, fermai il suo ondeggiare con le mani, e mi voltai seccata e con il respiro corto per lo sforzo compiuto.

Puntai lo sguardo verso la porta, pronta a sbraitare contro chiunque avesse osato interrompere il mio allenamento, la palestra era il mio luogo di pace, dove potevo riversare fuori tutti i sentimenti che si mescolavano dentro di me, odiavo che qualcuno vi s'infiltrasse senza il mio permesso; dovetti, però, spegnere la mia furia, quando vidi mio fratello che, appoggiato allo stipite della porta, mi osservava con un sorrisetto sulle labbra, evidentemente orgoglioso delle mie abilità nel pugilato.

«Caleb, qual è una delle cose che più detesto al mondo?» Sollevai le sopracciglia, rivolgendogli uno sguardo tagliente.

«So che non desideri essere interrotta, mentre ti alleni, Alexa, la scorsa volta eri in procinto di prendermi a pugni e sfogare la tua rabbia repressa sul mio bel visino.» Commentò ironicamente.

«A quanto pare quella scenata non ti è bastata. "Il lupo perde il pelo ma non il vizio".» Cinguettai, beffandomi di lui.

«Ah ah ah, divertente.» Borbottò, guardandomi male, poi riprese la sua espressione allegra. «Questa volta, però sono venuto per un motivo ben preciso, quindi stammi a sentire, sorellina. Papà ci vuole vedere nel suo ufficio tra un'ora.» M'informo Caleb.

Mi limitai a un semplice cenno di assenso, mi tolsi i guantoni dalle mani, li posai in un angolo, insieme al resto dell'attrezzatura e, con l'asciugamano in spalla, mi avviai verso la porta; non appena gli fui di fronte, mi alzai sulle mezze punte e stampai un leggero bacio sulla sua guancia destra. Lo vidi sorridere, ma non aggiunse nulla, così andai via, raggiungendo la mia ala della villa.

Entrai nel bagno collegato alla camera, tolsi i vestiti zuppi di sudore che avevo indosso, e lancia uno sguardo all'orologio che portavo al polso, notando fossero le dieci del mattino.

Avevo passato due ore in palestra, eppure il mio corpo non sembrava essere così stanco, ne fui felice, poiché avevo un'intera giornata da affrontare. Superai la vasca e m'infilai in doccia, dove, accompagnata dal rumore rilassante che producevano le goccioline scontrandosi contro il vetro, mi abbandonai ai pensieri e mi chiesi il motivo per cui mio padre avesse bisogno di incontrarci.

Immaginai si trattasse di qualche lavoretto da svolgere e trovai subito l'idea allettante, era da una settimana, infatti, che non ci dava alcun incarico.

Ero entrata nel giro dopo la sua morte. Per me, all'inizio, era soltanto un gioco, un modo per liberarmi della rabbia che mi divorava senza scrupoli, mi divertivo e mi sentivo terribilmente libera e potente; i ricordi, inoltre, sembravano nascondersi in un angolo del mio cervello, anche se per poco tempo, e a me andava bene.

Lei non avrebbe mai accettato; quel lavoro andava contro le sue etiche, inoltre, per noi, aspirava soltanto al meglio e preferiva rimanessimo fuori dall'organizzazione, ma, lei non c'era più, continuare a rimuginare su quello che ci avrebbe concesso se fosse stata ancora con noi, non aveva senso.

Uscii dal box doccia e arrotolai intorno al corpo un asciugamano. Bloccai la punta e pettinai i miei lunghi capelli castani.

Entrai in stanza, mi chiusi alle spalle la porta del bagno e aprii le ante del mio armadio.

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora