27- Too proud to admit reality...

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«Sei bellissima, cazzo!»

Rimasi totalmente spiazzata da quelle parole, infatti, lo fissai silenziosamente per qualche minuto immaginando che fosse stata la stanchezza a farmi udire quella frase. Anche lui mi guardò senza parlare, dandomi il tempo necessario per metabolizzare quella strana situazione.

Cercai una prova, che potesse confermare la veridicità della mia teoria, eppure l'espressione del suo volto era dannatamente seria e quello mi stupii ancora di più.

Avendo appurato di non essere soggetta a nessun tipo di allucinazioni, presi a parlare.

«Cosa?» Una domanda stupida e banale fuoriuscì dalla mia bocca che, fino a quel momento, era rimasta socchiusa.

Sbuffò quasi impercettibilmente e cominciò ad avvicinarsi, scrutando con attenzione i miei occhi, scuri come la pece, che quasi, facevano da specchio alla mia anima avvolta da una nube altrettanto scura. Mi limitai a rimanere immobile, memorizzando fermamente ogni singolo movimento.

Le sue mani grandi e callose si alzarono lentamente, fino a giungere sulle mie gote, accarezzandole con estrema delicatezza, come si fa quando si tiene tra le mani un oggetto di grande valore e si ha il timore di rovinarlo; oppure come un fioraio accarezza le sue rose preferite.

Per la seconda volta, durante quella serata, le nostre labbra si sfiorarono in una lenta e piacevole tortura. Non trovai, o meglio non cercai, la forza necessaria per allontanarmi da lui; non volli interrompere quel contatto atteso da entrambi.

La temperatura nella stanza parve aumentare drasticamente, mentre mi sporgevo verso di lui, segnando il definitivo incontro delle nostre bocche.

Il contatto non fu pacifico, ma rude e colmo di passione.

Mi sollevai agevolmente e mi sistemai, con prepotenza, sulle sue gambe toniche, fasciate dai jeans scuri; le mie mani intrappolarono in un pugno i suoi capelli castani, profumati di vaniglia e morbidi al tatto, sospirai quando accarezzò il mio seno, coperto solamente da un top sportivo.

Invertì le posizioni e mi spinse sul soffice materasso, stando attento a non premere sulla zona ferita.

Fu mentre le nostre lingue s'incontravano, che iniziai a sbottonare la camicia bianca che indossava in quel momento. Le mie dite scorrevano sulla stoffa fino ai bottoni, che tentavo di slacciare, così da avere un contatto diretto con la sua pelle. Distratta dagli umidi baci che lasciava sul mio petto, abbandonai il mio intento, limitandomi a stringere i suoi capelli in un pugno e a soffocare un gemito, quando si soffermò su un punto preciso, non molto lontano dalla clavicola, succhiandolo con avidità e possessione.

Percepii un lieve bruciore, che fu presto sostituito dal suo fiato freddo, che si scontrò contro la mia pelle calda, provocandomi dei piacevoli brividi sulle braccia e lungo la schiena. Si tolse la camicia e finalmente potei accarezzare il suo addome scolpito, dovuto ai duri allenamenti, che immaginai facesse frequentemente.

Mentre mi sfilava il top, capii che, quell'attimo di passione che stavamo condividendo, era tremendamente sbagliato, non avremmo dovuto spingerci così tanto oltre quel confine immaginario che avevo creato, capii che quella sera avrei dovuto dare ascolto mio fratello non sarei dovuta andare in quella fottuta discoteca di New York, ma ormai c'ero dentro e non mi sarei mai tirata indietro. Mi convinsi che quella notte di sesso non avrebbe fatto differenza.

Quando fummo completamente nudi, pelle contro pelle, portò le mie mani sopra la mia testa e le bloccò con le sue. Ghignò osservando il mio volto invaso dal piacere e iniziò a baciarmi il petto, poi il ventre, fino a quando non raggiunse la zona più intima. Morse il mio interno coscia, facendomi sussultare a causa della sorpresa.

Con il fiato accarezzò il mio punto sensibile. Emisi un gemito e alzai la testa verso il soffitto, spingendomi verso di lui.

«Sbrigati!» Grugnii infastidita.

«Non mi piace ricevere ordini.» Sussurrò con voce roca, avvicinandosi al mio viso imperlato di sudore. Lo tirai verso di me e feci scontrare ancora le nostre labbra, in un bacio lento.

Le lingue si toccavano l'una con l'altra e, in quel momento, mi sembrava che tutto il resto fosse scomparso: c'eravamo solo noi due, stesi su un letto, chiusi in una bolla... nella nostra bolla.

«Sei bellissima.» Ammise, mentre i suoi occhi passavano con circospezione su tutto il mio corpo. Sapevo di essere una bella donna, tuttavia il suo sguardo riuscì a stupirmi e a farmi sentire unica. Potei percepire la sua attrazione nei miei confronti, la stessa che condividevamo da un po' di tempo.

Nonostante la scarica che ci investiva quando la nostra pelle s'incontrava, capimmo il grande errore che si nascondeva nei nostri gesti; eppure, dallo sguardo di Dylan, intuii che lui, come me, non aveva intenzione di fermarsi. Decisi di tentare, per un ultimo istante, di mettere al primo posto quello che mi diceva il cervello e non ciò che derivava dagli istinti carnali che percepivamo.

«Stiamo commettendo un errore.» Lo dissi ad alta voce, sperando che fosse lui a interrompere per primo quel magico contatto.

«Già, ma sappiamo entrambi che vogliamo andare oltre.» Soffiò con voce roca, nel mio orecchio.

«Lo so.» Risposi semplicemente. «Ho bisogno di te. Sento una strana e fastidiosa attrazione nei tuoi confronti.» Ammisi onestamente, leggermente irritata dalle mie parole: non sopportavo l'influenza che aveva su di me.

«E io ho bisogno di te, ragazzina.» Affermò e, successivamente, in un colpo solo, si fece strada dentro di me. Circondai con le mani le sue spalle possenti, aggrappandomi con le unghie e graffiando la pelle abbronzata. Iniziai a muovere il bacino, seguendo il ritmo delle sue spinte, e, nel frattempo, mi lasciai coinvolgere in un bacio passionale.

Invertii le posizioni e mi misi a cavalcioni, cercando di dettare la frequenza delle spinte.

«Sono io che comando.» Parlò scontroso, ma allo stesso tempo eccitato. Lo lasciai fare e mi abbandonai nelle sue mani, consapevole che quel ragazzo, sarebbe stato la causa della mia disfatta.

Continuammo a consumare i nostri istinti per un tempo indefinito, finché non venimmo, scambiandoci baci e carezze.

Uscì da me e si accasciò stremato, con il viso imperlato di sudore, sul letto.

Spostai lo sguardo su di lui e lo osservai sospirare rumorosamente. Aprì gli occhi, incatenandoli ai miei. Mi tirò verso di sé e mi strinse fra le sue braccia.

Serrai le palpebre e per un momento dimenticai tutto quello che c'era stato tra di noi: tutto l'astio, le continue litigate o i baci non dati. Era come se per un momento fossimo stati dei semplici ragazzi, che avevano condiviso un momento intimo di tale importanza, spinti da una forza troppo superiore, perché sia contrastata: quella del fato.

Mi addormentai, cullata dal suo respiro caldo, che si scontrava contro la mia spalla nuda, cullata dalle sue carezze così insolite, ma allo stesso tempo stranamente piacevoli.

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora