3-I dirve

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Le grida aumentavano e, in quell'istante, mi sembrava che il cuore volesse uscirmi dal petto. Ci guardammo intorno spaventate, cercando di capire cosa stesse succedendo. Si sentirono solo i rimbombi di alcuni colpi di pistola. Seguimmo l'ammasso di gente che correva verso l'uscita, fermandoci giusto quando c'era troppa calca, da non permetterci di camminare.

«Cosa sta succedendo?» chiesi a una delle persone che incontrai, con la voce intrisa di terrore.

In tutta risposta mi ignorò e continuò a correre. Ascoltai distrattamente il rimbombo di un altro sparo e, poi, qualcuno mi spinse, facendomi sbattere al suolo.

Alzai lo sguardo di colpo, avvertendo un leggero gemito di dolore, e sgranai gli occhi quando la vidi cadere.

Per un attimo rimasi in silenzio, elaborando quello che stava accadendo, ma poi, urlai dolorosamente, graffiandomi le corde vocali, e corsi al suo fianco. I miei occhi erano un lago di lacrime, mentre sussurravo parole sconnesse, pregando nell'intervento di qualcuno. Le chiedevo di rimanere sveglia, accarezzavo i capelli e, silenziosamente, domavo il panico che annidava le mie viscere.

Gridai ancora quando chiuse gli occhi e subito sentii la terra cedere e sgretolarsi sotto di me.

Spaventata, cercai un appoggio, eppure sopra di me non c'era nulla, solo il vuoto...

Mi svegliai di soprassalto con la fronte grondante di sudore. Corsi nel bagno e rigettai tutto quello che avevo mangiato la sera prima. Quando i conati cessarono, feci dei respiri profondi, cercando di calmare il battito irregolare del mio cuore.

Sempre lo stesso fottuto incubo. Mi ritrovai a pensare, stanca di quella situazione. Borbottai qualche imprecazione, poi, mi asciugai i pochi rimasugli di lacrime e guardai l'ora sull'orologio: erano solamente le sei del mattino. Rassegnata all'idea di dover incominciare la mia giornata così presto, raccolsi le gambe al petto, presi la testa fra le mani, in un gesto disperato, e cercai di reprimere le lacrime, che aspettavano con ansia di essere liberate dalla loro prigione.

Un'unica lacrima bastarda abbandonò i miei occhi, riuscendo a oltrepassare quella barriera che negli anni avevo innalzato, ma prontamente passai la mano sulla guancia, cancellando ogni segno di quel misero attimo di debolezza.

Mi alzai da terra in un movimento scomposto e fiacco, apprestandomi a preparare la vasca in marmo, così da poter finalmente liberare il mio corpo da ogni rimasuglio di sudore.

Una volta immersa nell'acqua, spinsi la testa al di sotto della superficie liquida e rimasi lì pochi secondi, mentre, ad occhi chiusi, isolavo la mia mente dal chiassoso mondo che mi circondava. Riemersi e mi poggiai al bordo, abbandonandomi al suono della tenue musica classica, che avevo fatto partire precedentemente dal mio iPhone.

****

Mi avvicinai alla cabina armadio e cercai di tenere la mente occupata nella ricerca dell'outfit, così che l'immagine persistente di quel maledettissimo sparo, sparisse dalla mia testa, lasciandomi libera dai tormenti del passato.

Indossai un vestito a maniche lunghe grigio, al quale abbinai delle decolté nere. Raggiunsi la scrivania e inizia a truccarmi rapidamente, quando ebbi finito, spruzzai il profumo, indossai i miei orecchini preferiti, presi la borsa grigia, le chiavi della mia auto e il cappotto nero, che infilai velocemente, successivamente mi diressi nel salone, dove, ad attendermi, c'era la mia famiglia.

«Buongiorno.» Salutai tutti quanti, i quali puntarono la loro attenzione su di me.

«Non ti fermi a fare colazione?» Domandò mio padre, sfogliando il quotidiano che aveva in mano.

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora