48-What are you afraid of?

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La paura dell'abbandono fa fare cose assurde, infatti, per paura di sentirsi dire addio un giorno, lo si pronuncia per primi.

-Anonimo

Quando mi svegliai, fui raggiunta da un piacevole odore di pancake e caffè. Tastai la parte opposta del letto, ma la trovai vuota, dunque, dopo essermi stropicciata gli occhi, mi alzai per cercare Dylan.

Dato il profumo invitante, mi diressi in cucina, dove, come avevo immaginato, si trovava il russo. Era girato di schiena, attento ai fornelli, e, essendo senza maglietta, riuscii a vedere i muscoli che guizzavano a ogni movimento.

Rimasi appoggiata alla colonna, silenziosa, intenta a osservare il bruno.

Potrebbe sembrare la classica scena di un libro. Pensai, arricciando le labbra in un sorriso. Quella in cui ci sono i due protagonisti che, dopo essersi fidanzati, vanno a vivere insieme e lui, per sorprenderla, le prepara la colazione. Riflettei.

Mi sarebbe piaciuto che fosse così, che fossi cresciuta come una persona normale, senza dover soppesare l'assenza di una madre e senza preoccuparmi del futuro di un'intera organizzazione criminale. Forse, se non avessimo seguito dei corsi privati, Dylan e io ci saremmo conosciuti al college e innamorati, evitando vendette e faide.

Avrei voluto anch'io classificare il russo come il mio ragazzo, però, tra noi non era mai stato specificato nulla. Lui aveva ammesso di essersi pentito delle sue azioni e di tenerci a me, ma non avevamo mai attribuito un nome al nostro rapporto.

Probabilmente è meglio così, non so se sono pronta a una relazione. Mi avvalsi di quella convinzione, scacciando via i pensieri.

«Resti lì o vieni a mangiare la colazione che ho preparato?» Si girò e mi rivolse un sorriso sghembo.

«Ti ammiravo.» Ammisi, ricambiando il ghigno e avvicinandomi per posargli un bacio sulle labbra.

«Mi piace molto la tua onestà.» Si complimentò. «E poi, ti comprendo, il mio fascino cattura sempre attenzioni.» Mi provocò.

«Potrei dire lo stesso.» Mi accomodai sulla sedia lungo il tavolo e mi morsi il labbro, lanciandogli uno sguardo.

«Sono d'accordo.» Si sistemò di fronte, non prima di avermi posato davanti un piatto colmo di pancake.

«Non pensavo sapessi cucinare.» Ammisi, leccandomi l'indice, che si era sporcato con dello sciroppo d'acero. I suoi occhi saettarono sul mio dito e mi rivolsero uno sguardo languido.

«Sono bravo in molte cose.» Alluse. «Credo che di alcune di queste tu ne abbia avuto dimostrazione.»

«Bravo... io direi discreto.» Stetti al suo gioco.

«Lozh', milyy.» Commentò in russo e io non capii quello che disse.

«Cosa?» Aggrottai le sopracciglia.

«Ho detto che stai mentendo, Alexandra.» Mi sorrise maliziosamente.

«Forse.» Scrollai le spalle, fingendo indifferenza. «Comunque, complimenti, sono davvero buoni.» Mugolai, addentando un altro pezzo di pancake. «Mi devi insegnare, io sono un disastro in cucina.» Asserii ridacchiando e lo vidi annuire.

Gli raccontai di quando avevo dimenticato l'impasto nel forno e rischiato di incendiare casa, se solo non fosse intervenuta una delle cameriere, e gli dissi anche che avevo rotto il forno in un'occasione. Restammo seduti per circa mezz'ora, poi, sparecchiammo e, con un sospiro, abbandonammo le risate e tornammo a concentrarti sulla faccenda che riguardava Ralf.

Ci dirigemmo verso la sua villa, dove rimanemmo a lungo. Osservammo la videocassetta che ci aveva consegnato il proprietario del Word technology, e riuscimmo a scorgere una figura incappucciata. Di questa, grazie a un momento in cui era inquadrato il suo profilo, potemmo riconoscere dei tratti femminili e un tatuaggio che aveva sul dorso della mano, un rosa e quella che sembrava una scritta in corsivo, però, non riuscimmo a leggerne le parole, le videocamere erano di vecchia generazione e, anche con l'ingrandimento, l'immagine restava sfocata e illeggibile.

Fortunatamente, con Robert Payn fummo più fortunati. Dylan aveva contattato alcuni suoi uomini, che avevano rintracciato l'indirizzo, non ci restava che imbarcarci sul jet e bussare alla porta dell'uomo, sperando in una sua collaborazione.

****

Eravamo sull'aereo privato della famiglia Ivanov, senza che nessuno sapesse della nostra partenza. Ero seduta su una delle poltrone e i miei occhi erano serrati a causa della nausea che avvertivo. Era la prima volta che succedeva dopo diversi anni, solitamente l'antistaminico faceva il suo effetto, però, quella volta non sembrava voler collaborare e, anche Dylan, l'aveva notato.

«Soffri di mal d'aria, vero?» Chiese, intrecciando le nostre dita.

«Sì.» Sbuffai.

«Andiamo in camera, così provi a dormire?» Domandò accarezzandomi il dorso della mano, con il pollice.

Annuii e lascai che mi conducesse nella camera, che aveva un letto matrimoniale al centro e due comodini di legno ai lati, su cui erano sistemate delle eleganti lampade bianche. C'era una piccola scrivania con uno specchio e, infine, la porta che conduceva al bagno in camera.

Mi stesi sul letto, assieme a lui, e mi poggiai sul suo petto, cominciando ad accarezzarlo distrattamente.

Quale sarebbe la mia reazione se perdessi tutto questo? Mi chiesi, arricciando le labbra.

«Ho paura.» Ammisi.

«Di cosa? Che l'aereo cada?» Ridacchiò, ma rimasi seria.

«Di perdervi com'è successo con mia madre.» Confessai, schiudendo gli occhi. «E se qualcuno dovesse farvi del male per ferire me?» Gli chiesi. «Probabilmente non lo sopporterei.»

«Alexandra, dimentichi che questo è anche il nostro mondo. Kate e io siamo cresciuti così e sappiamo difenderci.» Mi accarezzò le guance. «Da quel giorno, dentro di te, è nato un trauma e capisco cosa significhi perdere una madre, però, non dovresti vivere di tormenti.»

«Lo so.»

«La vita non è infinita, perciò, non sapendo quale sarà il numero esatto dei nostri giorni, perché sprecare tempo ad allontanare le persone per paura di perderle?» Mi disse e associai le sue parole a quelle che anche Luke mi aveva detto.

«Non voglio soffrire ancora, Dylan.» Spiegai con sguardo perso, lasciando una lacrima colare via.

«Non succederà, non di nuovo.» Concluse, aumentando la presa attorno al mio corpo.

Decisi di credere alle sue parole e affidarmi a lui. Avvertii una ferita rimarginarsi dopo anni e un peso liberare il mio stomaco. Mi sentii felice, quella per me era stata una piccola vittoria in quella guerra contro il mio passato e, se l'avevo ottenuta, dovevo dire grazie alle persone che mi volevano bene, tra cui Luke e Dylan.

Forse, è realmente questa la mia seconda chance.


«Bugie, tesoro.»

Holaaa todos, eccomi tornata con un nuovo capitolo. Per la prima volta dopo molti anni, Alexandra sembra aver trovato uno spiraglio di luce, dentro il buio che la circonda.

Per quanto riguarda le ricerche, invece, siamo sempre più vicini a sapere la verità, o forse no?

Chi lo sa, dobbiamo continuare la lettura per scoprirlo.

In ogni caso, io vi ricordo di continuare a fare domande ai vari personaggi, segnalandomele con il solito #dylandra . A breve uscirà la loro 'intervista', quindi affrettatevi! 

Seguitemi su instagram (i_am_great_dreamer_)  per tutti gli aggiornamenti riguardanti le mie storie, e per partecipare ai sondaggi che ogni tanto posto sul mio profilo. Mi raccomando, vi voglio in tanti!

Io vi mando un bacione, al prossimo capitolo!!

XX Ilaria :)

PS. Aggiorno a 70 stelline💖

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